domenica 13 ottobre 2013

SOVRAFOLLAMENTO DELLE CARCERI

Cero in questo archivio non c'e' nulla di interessante...
Esplora il significato del termine: Un’invasione di zombi a Rebibbia. Non il carcere, ma l’intero quartiere nella periferia est di Roma che per molti è solo un agglomerato di case intorno alla prigione sorta negli anni ‘70 e che, per i lettori dei fumetti di Zerocalcare è il corrispettivo di Springfield per i fan dei Simpsons. Nel nuovo libro, «Dodici », in uscita il prossimo 17 ottobre per Bao Publishing, Rebibbia è sotto minaccia: gli zombi stanno per decimare gli abitanti e l’alterego di Michele Rech, Zerocalcare, è fuori gioco, in coma per motivi misteriosi. Toccherà all’amico Secco, che si ciba solo di «soldini» (merendine del Mulino Bianco ormai fuori produzione), alla tostissima Katja e al Cinghiale il ruolo, improbabile, degli eroi.



Una delle tavole di «Dodici»
Trent’anni il prossimo dicembre, aretino di nascita, ma indiscutibilmente romano d’adozione e attitudine, tre libri all’attivo (« La profezia dell’armadillo» , «Un polpo alla gola» , «Ogni maledetto lunedì su due» ) un successo di pubblico crescente, con ormai decine di migliaia di copie vendute, Michele Rech è, un po’ suo malgrado, il cantore dei nerd nati ai bordi di periferia. Tutto è partito da un blog, zerocalcare.it, che un altro fumettista, Marco D’Ambrosio, in arte Makkox, la matita di «Gazebo» la trasmissione di Raitre, gli aprì un paio di anni fa. «Disegno fumetti da una decina d’anni» racconta Rech che ha preso in prestito lo pseudonimo Zerocalcare con cui firma le sue opere dalla pubblicità di un anticalcare passata in tv. «Ma tutto è cambiato negli ultimi due anni grazie al blog. È stato Makkox a insistere, lui mi ha pubblicato il primo libro a sue spese, ci ha messo la faccia e i soldi, mi ha aperto il suo serbatoio di lettori».


Da «Dodici»
Riservatissimo e ancora un po’ incredulo di trovarsi al centro dell’attenzione. «Come vivo la popolarità? Malissimo, il primo anno è stato una specie di frullatore. Ora sono più lucido, magari finisce tutto e ritorno a fare traduzioni e ripetizioni ai ragazzini». Il francese è la sue seconda lingua, l’ha imparata dalla madre. L’italiano, invece, lo parla con lo stesso marcato accento romano che si riflette nel lessico dei suoi personaggi di carta creati pescando a piene mani dalla sua vita. «Non sono tanto capace di raccontare cose lontane da me. Ma Dodici è nato anche come razione a questo autobiografismo, al fatto di essere considerato un po’ arbitrariamente una bandiera generazionale». E, anche, in omaggio alla sua passione per gli zombi. «È sempre stata una mia fissa, fin da piccolo. Ho il poster originale della Notte dei morti viventi ». Si è divertito a infarcire la storia di citazioni disparate. George Romero, cantore dei non morti, certo, Dante scambiato per Tiziano Ferro («Quand’ebbe detto ciò / con gli occhi torti / riprese ‘l teschio misero co’ denti»), gli eroi di cartone di bambini e adolescenti, da Peppa Pig a Ken il guerriero. «Sono riferimenti miei, sono onnivoro, mi nutro di tutto quello che mi sta intorno. Compresa la maialina dei cartoni animati Peppa Pig, che con un suo libro scalzò il mio Il polpo alla gola dal primo posto nella classifica di vendite Amazon».
Non prendersi sul serio è una delle sue regole di vita. «Roma non ti perdona niente, se mi prendessi sul serio non potrei più uscire di casa». Non sembra correre il rischio, almeno per ora. Non ha neanche cambiato il modo di disegnare: carta, matita, pennarelli e china. Il computer per risparmiare inchiostro per gli sfondi. In Dodici è arrivato il colore. «Merito di Sara Basilotta, bravissima colorista». Non cambia nemmeno l’amore incrollabile per il suo quartiere. Come risulta dal dialogo messo in bocca, pardon , nuvoletta, a uno personaggi convinto che l’attacco degli zombi copra un progetto sinistro. «Evacuazione popolamento con colonia di fuorisede, movida e apericene. Non verrete qui a suonare i vostri bonghi, Rebibbia non sarà il nuovo Pigneto».Un’invasione di zombi a Rebibbia. Non il carcere, ma l’intero quartiere nella periferia est di Roma che per molti è solo un agglomerato di case intorno alla prigione sorta negli anni ‘70 e che, per i lettori dei fumetti di Zerocalcare è il corrispettivo di Springfield per i fan dei Simpsons. Nel nuovo libro, «Dodici », in uscita il prossimo 17 ottobre per Bao Publishing, Rebibbia è sotto minaccia: gli zombi stanno per decimare gli abitanti e l’alterego di Michele Rech, Zerocalcare, è fuori gioco, in coma per motivi misteriosi. Toccherà all’amico Secco, che si ciba solo di «soldini» (merendine del Mulino Bianco ormai fuori produzione), alla tostissima Katja e al Cinghiale il ruolo, improbabile, degli eroi.


Una delle tavole di «Dodici»
Una delle tavole di «Dodici»
Trent’anni il prossimo dicembre, aretino di nascita, ma indiscutibilmente romano d’adozione e attitudine, tre libri all’attivo (« La profezia dell’armadillo» , «Un polpo alla gola» , «Ogni maledetto lunedì su due» ) un successo di pubblico crescente, con ormai decine di migliaia di copie vendute, Michele Rech è, un po’ suo malgrado, il cantore dei nerd nati ai bordi di periferia. Tutto è partito da un blog, zerocalcare.it, che un altro fumettista, Marco D’Ambrosio, in arte Makkox, la matita di «Gazebo» la trasmissione di Raitre, gli aprì un paio di anni fa. «Disegno fumetti da una decina d’anni» racconta Rech che ha preso in prestito lo pseudonimo Zerocalcare con cui firma le sue opere dalla pubblicità di un anticalcare passata in tv. «Ma tutto è cambiato negli ultimi due anni grazie al blog. È stato Makkox a insistere, lui mi ha pubblicato il primo libro a sue spese, ci ha messo la faccia e i soldi, mi ha aperto il suo serbatoio di lettori».

Da «Dodici»
Da «Dodici»
Riservatissimo e ancora un po’ incredulo di trovarsi al centro dell’attenzione. «Come vivo la popolarità? Malissimo, il primo anno è stato una specie di frullatore. Ora sono più lucido, magari finisce tutto e ritorno a fare traduzioni e ripetizioni ai ragazzini». Il francese è la sue seconda lingua, l’ha imparata dalla madre. L’italiano, invece, lo parla con lo stesso marcato accento romano che si riflette nel lessico dei suoi personaggi di carta creati pescando a piene mani dalla sua vita. «Non sono tanto capace di raccontare cose lontane da me. Ma Dodici è nato anche come razione a questo autobiografismo, al fatto di essere considerato un po’ arbitrariamente una bandiera generazionale». E, anche, in omaggio alla sua passione per gli zombi. «È sempre stata una mia fissa, fin da piccolo. Ho il poster originale della Notte dei morti viventi ». Si è divertito a infarcire la storia di citazioni disparate. George Romero, cantore dei non morti, certo, Dante scambiato per Tiziano Ferro («Quand’ebbe detto ciò / con gli occhi torti / riprese ‘l teschio misero co’ denti»), gli eroi di cartone di bambini e adolescenti, da Peppa Pig a Ken il guerriero. «Sono riferimenti miei, sono onnivoro, mi nutro di tutto quello che mi sta intorno. Compresa la maialina dei cartoni animati Peppa Pig, che con un suo libro scalzò il mio Il polpo alla gola dal primo posto nella classifica di vendite Amazon».
Non prendersi sul serio è una delle sue regole di vita. «Roma non ti perdona niente, se mi prendessi sul serio non potrei più uscire di casa». Non sembra correre il rischio, almeno per ora. Non ha neanche cambiato il modo di disegnare: carta, matita, pennarelli e china. Il computer per risparmiare inchiostro per gli sfondi. In Dodici è arrivato il colore. «Merito di Sara Basilotta, bravissima colorista». Non cambia nemmeno l’amore incrollabile per il suo quartiere. Come risulta dal dialogo messo in bocca, pardon , nuvoletta, a uno personaggi convinto che l’attacco degli zombi copra un progetto sinistro. «Evacuazione popolamento con colonia di fuorisede, movida e apericene. Non verrete qui a suonare i vostri bonghi, Rebibbia non sarà il nuovo Pigneto».

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