sabato 27 agosto 2016

MODENA APOCALISSE

Ghirlandina Apocalypse, fuga dagli zombie in centro storico Eventi a Modena

Per una notte il centro storico di Modena si trasformerà in una città devastata dall'Apocalisse, dove a sopravvivere sono rimasti solo pochi esseri umani, costretti a difendersi dagli zombie. L'unica speranza per uccidere il virus che minaccia gli ultimi modenesi, sarà raggiungere il rifugio, dove saranno custoditi gli antidoti contro il virus. Per conquistare la salvezza, i sopravvissuti dovranno superare alcune tappe, cercando di non farsi infettare dagli affamatissimi zombie.
IL GIOCO - Saranno coinvolte varie squadre (da definire), composte da un massimo di DODICI persone. L'evento sarà infatti a numero chiuso, il che ne aumenterà il senso di esclusività e, quindi, l'attesa per l'appuntamento stesso. Ogni squadra, dotata di una mappa, partiraà da una zona diversa del centro per avvicinarsi gradualmente al rifugio. Ogni gruppo incontrerà "4 saggi" infettati dagli zombie, ma ancora coscienti, che forniranno gli indii per accedere al rifugio.
COSTI - La quota sarà di 15 euro a partecipante per ogni squadra, da acquistare in prevendita con le modalità che saranno indicate a breve sulla pagina Facebook dell'evento. Il costo comprende: gioco della serata, maglietta e buffet finale.


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IL SITO DEGLI ZOMBIE


1In Zombasite si dovrà sopravvivere ad una apocalisse zombie, fin qui tutto normale ma la caratteristica principale del titolo Soldak Entertainment è l'ambientazione, ovvero un mondo fantasy. Ogni partita sarà diversa dalle altre con diverse missioni, oggetti, aree e nemici. Il gioco inoltre permette di intraprendere relazioni con altri clan, potrete quindi commerciare e dichiarare guerra.Ecco come si esprimono sul gioco gli sviluppatori:

"I nemici in Zombasite non sono dei semplici cadaveri riportati in vita da un parassita, essi infatti sono intelligenti e cercheranno in tutti i modi di espandere l'infezione uccidendo e infettando ogni umano ancora in vita."
Prima di lasciarvi vi ricordiamo che Zombasite è attualmente disponibile su Steam

MEZZANOTTE A VENEZIA:ZOMBI

Festival del cinema di Venezia 2016: arrivano gli Zombi Sarà proiettata a mezzanotte di venerdì 2 settembre, in Sala Giardino (Lido di Venezia) in prima mondiale la copia rimasterizzata in 4K del capolavoro di George A. Romero Dawn of the Dead – European Cut [Zombi, 1978] (Usa-Italia, 115’), nella versione montata e curata all’epoca da Dario Argento per il mercato europeo con le musiche dei Goblin. La proiezione sarà preceduta da una presentazione dello stesso Dario Argento, produttore del film, e di Nicolas Winding Refn, grande estimatore di Dawn of the Dead e supervisore del restauro in alta definizione. Parole chiave: venezia 2016, zombie, dario argento, dawn of the dead nicolas winding refn

L'EDIZIONE DEFINITIVA DI ZOMBIE HOLOCAUST

Featured ImageChe incantevole e degenerato mondo quello dell’exploitation italiana anni 80! Dopo il successo di Zombi 2 (Lucio Fulci, 1979) e Cannibal Holocaust (Ruggero Deodato, 1980) ci pensa il produttore Fabrizio De Angelis a battere il ferro infuocato con la spudorata – e, diciamolo pure, geniale – idea di far coincidere in un unico film morti viventi e cannibali, per la gioia dei fan del cinema più estremo, anche se poverissimo e sgangherato. Il regista che si sobbarca l’onere dell’operazione è Marino Girolami, padre di Enzo G. Castellari, non proprio il primo venuto; e per quanto probabilmente poco incline all’horror-gore, il suo indiscutibile mestiere riesce a non far naufragare un progetto che, ancora oggi, vanta estimatori accaniti in tutto il mondo. Dal canto loro, De Angelis e Romano Scandariato sviluppano una sceneggiatura che, oltre ai due film citati sopra, guarda anche a Emanuelle e gli Ultimi Cannibali, di Joe D’Amato e scritto sempre da Scandariato (1977), da cui viene prelevata in blocco anche la sublime colonna sonora di Nico Fidenco, e a La Montagna del Dio Cannibale di Sergio Martino (1978). Il risultato è un film folle e senza ritegno, girato “sui resti di Zombi 2 “, per citare l’effettista Rosario Prestopino che si riferisce anche alle location utilizzate, e che tra strafalcioni macroscopici (un manichino cadendo perde un braccio palesando inequivocabilmente la natura posticcia della scena) e spassosi momenti gore (soprattutto la sadica ed efferata operazione compiuta dal Mad Doctor Donald O’Brein ai danni della bella Sherry Buchanan), riesce quantomeno a divertire senza annoiare mai: il sangue scorre a fiumi e bisogna ammettere che l’abilità artigianale del comparto FX di Maurizio Trani e Prestopino garantisce un repertorio ultra-splatter davvero degno di nota. Cosa chiedere di più ad un film come questo?
Severin Films dopo le varie edizioni digitali di Zombi Holocaust uscite nel mondo – tra cui citiamo almeno il dvd italiano CineKult curato da Nocturno Cinema, e il dvd francese Neo Publishing – ci propone con la consueta maniacale attenzione quella che senza ombra di dubbio possiamo considerare l’edizione definitiva in blu ray (2 dischi!) di questo bizzarro e adorabile filmaccio. Com’è noto, in America il film era stato rimontato e distribuito con una colonna sonora differente dalla Aquarius Releasing, che aveva escogitato anche un nuovo titolo: Doctor Butcher M.D., rivelandosi un grande successo nei cinema della famosa 42esima strada di New York. La versione americana, prima di oggi inedita in digitale, trasferita egregiamente in 2K da Severin dopo aver scovato il negativo originale integrale, trova adesso tutti gli approfondimenti possibili nel primo disco di questa edizione blu ray straripante di ottimi extra.nForse, a causa della presenza della sola lingua inglese senza sottotitoli sia per il film che per le featurette contenute, il primo disco non sarà molto appetibile per il pubblico italiano ma non andrebbe trascurato ugualmente: ci consente, infatti, di ricostruire l’avventura americana di questo incredibile rimontaggio (emblema dell’exploitation dell’exploitation) e della 42esima strada, attraverso i ricordi e le testimonianze di Terry Levene della Aquarius, di Rick Sullivan editore della fanzine Gore Gazette, di Roy Frumkes regista dei segmenti usati per rimpolpare il rimontaggio Doctor Butcher MD, e altre piccole chicche.
Nel secondo disco, invece, anche il pubblico italiano troverà di che deliziarsi: il trasferimento hd della versione italiana intitolata Zombi Holocaust è veramente ottimo, considerando la natura del girato a monte, e basterebbe un confronto diretto con il master hd pubblicato precedentemente dall’inglese 88 Films per comprendere il livello dell’upgrade raggiunto da Severin: la colorimetria è finalmente esatta e rispettosa della fotografia originale, buona la definizione generale, grana naturale e assolutamente cinema like. In più, Severin restaura a partire da un 16mm e reintegra perfettamente nel master una scena di circa 5 minuti che, prima di oggi, era visibile solo come extra di bassa qualità in vecchie edizioni dvd. Ottime e potenti anche le due tracce audio disponibili per questa versione: il DTS HD 2.0 inglese e il non compresso LPCM 2.0 italiano (con un piccolo buco durante la scena ripristinata citata prima). Il nutrito e appagante comparto extra del secondo disco comprende tre lunghe featurette in italiano con sottotitoli opzionali in inglese: un’intervista a Sherry Buchanan realizzata da Nocturno Cinema e due interviste a Maurizio Trani e Rosario Prestopino realizzate da Freak-O-Rama, due “marchi” italiani sinonimo di passione e competenza che impreziosiscono ulteriormente l’edizione. In inglese, ma non per questo meno interessanti, abbiamo anche una breve intervista Severin a Ian McCulloch e un partecipato ricordo “audio” di Enzo G. Castellari che ci racconta la carriera cinematografica del padre Marino Girolami mentre sullo schermo scorrono bellissime foto inedite scansionate per l’occasione.
Ma non finisce qui, oltre ai vari trailer del film troviamo anche un tour location sui luoghi newyorchesi in cui vennero girati alcuni esterni e perfino un “audio bonus” con McCulloch che canta una canzone, un materiale d’archivio che risale al 1964, quando l’attore aveva intrapreso anche la carriera di cantante. Ancora una volta, Severin films sforna un’edizione impeccabile sotto tutti i punti di vista e come spesso accade si dimostra anche simpaticamente goliardica: la prima tiratura di 5000 copie prevede un gadget omaggio divertente e dissacrante, la Doctor Butcher Barf Bag! un sacchetto di pvc serigrafato per chi, durante la visione del film, avesse improvvisamente bisogno di vomitare.

I LAVORATORI OGGI

Dopo aver analizzato, attraverso la metafora dello zombie, le pulsioni autodistruttive dell’essere umano incapace di sognare un mondo migliore [su Carmilla], dopo esserci soffermati sulla narrazione/costruzione del nemico nel cinema di fantascienza statunitense [su Carmilla] ed a proposito di come sulla figura dell’alieno (“dell’altro”) spesso vengano proiettate le peggiori caratteristiche dell’umanità [su Carmilla], è il caso di affrontare ancora alcuni aspetti del dilagare contemporaneo della figura del morto vivente. L’invasione zombie che ha occupato una parte importante dell’immaginario contemporaneo non può essere ricondotta soltanto alla comparsa nella fiction di un’orda di living dead. Vi sono almeno altri due ambiti in cui, in forma metaforica, si manifesta la figura dello zombie: il mondo del lavoro, nelle sue forme di alienazione e sfruttamento, ed il mondo dei media tanto nella “narrazione-produzione” di morti viventi (basti pensare a come vengono quotidianamente presentati i migranti), quanto nel suo stesso palesarsi come mondo sospeso tra la vita e la morte, nel suo proiettarsi oltre il luogo, lo spazio ed il tempo. Insomma, come vedremo, i media costruiscono e sono morti viventi.
Al fine di approfondire tali tematiche ci viene in aiuto il nuovo libro di Federico Boni, The Watching Dead. I media dei morti viventi (Mimesis 2016), ove lo studioso analizza la figura dello zombie come metafora che riguarda i media dal punto di vista produttivo, delle modalità di rappresentazione del potere da essi attuate e delle forme di consumo dei contenuti da parte del pubblico. La metafora dei morti viventi viene dunque indagata dall’autore facendo riferimento ai lavoratori delle imprese mediatiche, ai potenti messi in scena dai media ed ai pubblici.
La figura dello zombie sembra mettere in scena le paure e le ansie che abitano l’immaginario occidentale contemporaneo. Secondo diversi studiosi i morti viventi che popolano i media contemporanei rappresentano una sorta di reazione culturale alle ingiustizie sociali e politiche del momento. Quel che è certo è che quella dello zombie è una figura decisamente malleabile e ciò la rende supporto metaforico per inquietudini diversificate.
«Nel nostro percorso ci capiterà di imbatterci in orde di morti viventi, a seconda vittime o carnefici di un sistema neoliberista che riduce le persone a una non-vita. Incroceremo i loro sguardi, spesso interrogativi, e cercheremo di interrogarli a nostra volta» (p. 11).
A proposito dei morti viventi che popolano le produzioni audiovisive, Boni ne ricostruisce le principali fasi di sviluppo a partire dalla loro comparsa sul grande schermo negli anni Trenta e Quaranta quando, in linea con le sue origini haitiane, la figura dello zombie rimanda alla rappresentazione dello “schiavo senz’anima” delle piantagioni con evidenti riferimenti alle condizioni della working class americana negli anni della Grande Depressione. I film di questo periodo, inoltre, non mancano di esplicitare il timore degli occidentali di venire prima o poi dominati e “colonizzati” dai discendenti degli schiavi deportati dall’Africa. Se negli anni Cinquanta e Sessanta, la figura del morto vivente, oltre a richiamare le atrocità della guerra da poco terminata, rinvia al terrore per un’eventuale invasione comunista, successivamente, attraverso una nuova generazione di zombie, inaugurata da George Romero con La notte dei morti viventi (Night of the Living Dead, 1968), si sviluppano riflessioni sul razzismo, sull’imperialismo e sul consumismo.
Nelle più recenti produzioni audiovisive di zombie, in cui è diventato sempre più difficile distinguere nettamente la condotta dei morti viventi da quella dei sopravvissuti, oltre che a dare immagine all’ansia contemporanea determinata dalla mancanza di stabilità e sicurezza, si insiste sul tema del contagio e su questioni bioetiche. L’ultima generazione di zombie si lega «a una dimensione che potremmo ricondurre alla patologizzazione e alla medicalizzazione della società, la cui diffusione planetaria suscita tutti i nostri timori relativi ai processi della globalizzazione neoliberale […] I morti viventi diventano così la rappresentazione fin troppo realistica del proletariato contemporaneo, dei flussi migratori e della estrema facilità con cui è sempre più possibile per le persone finire in uno status di “non-persone”, veri e propri morti viventi» (p. 19).
Riprendendo il discorso sul mito sviluppato da Roland Barthes (Miti d’oggi), secondo Boni «il morto vivente costituirebbe una categoria dell’immaginario nella quale la nostra società trasferisce le proprie vittime sacrificali […] La furia e la soddisfazione che si provano nell’eliminare definitivamente uno zombie nei film e nelle fiction […] tradiscono questa funzione di capro espiatorio […], ma va sempre ricordato che, originariamente, esso è uno schiavo, “che ha perso l’anima per il lavoro imposto dal capitalista. Ogni mito conserva la propria origine, nascondendola, tramutandola in sintomo. Se ciò è vero gli schiavi sono sempre schiavi, anche oggi, come in origine, sono loro che il mito nasconde”. Insomma: lo zombie è un mito, ma queste orde di morti viventi esistono davvero, sono tristemente reali» (p. 27).
Attraverso il mito del morto vivente le vittime vengono trasformate in mostri, dunque diviene lecito, oltre che divertente, eliminarle. Scrivono a tal proposito Martino Doni e Stefano Tomelleri: «Gli zombi sono coloro che, nella loro difformità relativa, sono trasformati in difformi assoluti da un modo di produzione che ha perso ogni traccia di anima, che predica egualitarismo estremo e fa erigere mura difensive e ingaggia guerre preventive per accaparrarsi fonti energetiche. Gli zombi sono uomini, donne e bambini massacrati per mare e per terra, ogni giorno, con spietata e immonda regolarità, nel torpore delle estati occidentali […]. Noi guardiamo loro e vediamo degli zombi: vediamo cioè tutto ciò che noi non vorremmo mai essere. Questa è la vera proiezione. Lo zombi è il non-me […]. La nostra piccola sicurezza quotidiana è garantita dal mito che non muore mai: quello della vittima che è sempre pronta a farsi uccidere, infinitamente, tanto è già morta» [M. Doni, S. Tomelleri, Zombi. I mostri del nuovo capitalismo, pp. 70-71] (p. 28).
sociologie-boni-watching-dead-1Lo zombie, oltre a definire il campo discorsivo del neoliberismo politico ed economico e gli stessi corpi dei suoi protagonisti, si presenta anche come metafora degli effetti della “necropolitica” applicata sui corpi degli individui. I morti viventi vengono presentati come massa informe ma, sostiene l’autore, questi “ultimi degli ultimi” sono anche i rifiuti, gli scarti, della società neoliberista, sono l’immagine di quelle “vite di scarto” di cui parla Zygmunt Bauman (Vite di scarto). I morti viventi non sono soltanto gli operai zombificati dallo sfruttamento neoliberista, essi sono anche «i lavoratori-consumatori, una sorta di “proletariato inattivo” e inutile per cui non solo il lavoro è un ricordo, ma anche lo stesso consumo delle merci è una sorta di istinto inconscio e quasi inconsapevole e involontario. Sono molti gli studiosi che hanno individuato soprattutto ne L’alba dei morti viventi […], di George Romero, una metafora neanche troppo velata del consumismo contemporaneo, dove orde di zombie si assiepano intorno a un mall (riuscendo infine a entrarvi, spinti da un ricordo o da un istinto al consumo fine a se stesso)» (pp. 55-56).
A proposito di consumo, Rocco Ronchi sostiene che nello zombie è possibile scorgere una “nuova forma di proletarizzazione” che «consiste nella organizzazione del consumo come “distruzione del saper-vivere”, al fine di creare un astratto potere d’acquisto. Come il capitalismo classico si reggeva su di una forza lavoro astratta così il capitalismo postmoderno si regge sulla compulsione al consumo, vale a dire su di un vivente ridotto il più possibile alla sola funzione astratta di consumatore di merci» [R. Ronchi, Zombie outbreak, p. 59] (p. 57).
Nel saggio vengono affrontati i fenomeni della “mediatizzazione dello zombie” e della “zombificazione dei media”. Nel primo caso l’autore fa riferimento a come la figura dello zombie venga prodotta all’interno dei media, dunque a come essa sia un discorso mediatico, nel secondo caso a come gli stessi media possano essere letti come morti viventi.
A proposito della “mediatizzazione dello zombie”, Boni sostiene che lo zombie è una figura costitutivamente mediatizzata derivando da un processo di produzione e riproduzione di testi interni ai diversi media. I morti viventi mediatizzati, continua lo studioso, sono soprattutto “ri-mediati” e “crossmediali”, derivanti dal passaggio dei contenuti di un medium in un altro. Inoltre, la figura dello zombie investe praticamente tutti i generi cinematografici e televisivi e, in generale, tocca tutti i mezzi di comunicazione nelle loro più svariate produzioni, dalla narrativa agli audiovisivi artistici e musicali, dai videogame ai fumetti.
Per quanto riguarda la “zombificazione dei media” l’autore porta alcuni esempi di produzioni audiovisive che palesano tale fenomeno. Nel film Pontypool. Zitto… o muori (Pontypool, 2009) di Bruce McDonald, il contagio si propaga attraverso la trasmissione radiofonica e telefonica: «la zombificazione corrisponde al linguaggio, anzi alla lingua inglese – più precisamente ancora, al significato delle parole inglesi. Per eliminare il virus è necessario uccidere la parola – ucciderne il significato –, ripetendola finché non diviene incomprensibile» (p. 73). Di fatto, ricorda l’autore, tutti i mondi mediati elettronicamente dalle telecomunicazioni tendono ad evocare il soprannaturale ed il mostruoso, abitando, tali media, una zona liminale, tra la vita e la morte, proprio come gli zombie. Se i mezzi di trasmissione delle comunicazioni proiettano oltre il luogo e lo spazio, quelli di registrazione consentono anche di andare oltre il senso del tempo. I media possono allora essere letti come morti viventi.
Secondo lo studioso Erik Bohman (Zombie Media) nelle opere di Romero è possibile individuare la metafora del medium come morto vivente: nei suoi film i media sono mostrati come agenti di zombificazione, dunque come zombie essi stessi. Boni mette in evidenza come La notte dei morti viventi (1968) di Romero giunga nelle sale pochi anni dopo la pubblicazione di Gli strumenti del comunicare (1964) di Marshall McLuhan, saggio in cui lo studioso canadese sostiene che la specializzazione derivante dall’utilizzo di tecnologie sempre più sofisticate riduce le persone ad automi ed i mezzi di comunicazione elettronici determinano un nuovo tribalismo che si esplicita nella forma del “villaggio globale”. «La notte dei morti viventi ci mostra questo tribalismo nei suoi effetti più devastanti, sia nella sua declinazione nella figura dello zombie (che da poche unità diviene poi una massa minacciosa) sia nella sua articolazione nei sopravvissuti asserragliati all’interno di una fattoria, le cui azioni sono peraltro orientate dalla radio e della televisione, i cui annunci tuttavia nel corso della vicenda perdono sempre più di credibilità e affidabilità» (p. 76).
Nel lungometraggio Le cronache dei morti viventi (Diary of the Dead, 2007) di Romero, «assistiamo alla pervasività (e alla disfatta) dei media: nel film un gruppo di studenti documenta l’apocalisse zombie attraverso le loro cineprese e i loro telefonini, e vediamo spesso immagini tratte da telecamere di sicurezza e altri sistemi di controllo e vigilanza […] Tuttavia, a onta di tutto il materiale di immagini che viene raccolto nel corso della vicenda, i protagonisti sono consapevoli della sostanziale inutilità di quella documentazione. Se già a livello testuale è possibile verificare il delinearsi della metafora dei media come morti viventi – capaci di zombificare i loro consumatori –, a un ulteriore livello di analisi è possibile vedere come la stessa grana delle immagini mediatiche che rappresentano i cadaveri in disfacimento degli zombie restituisca le tracce della loro mediazione e rimediazione, rinvenibili negli effetti di distorsione e negli interventi digitali sulle immagini[…] è possibile parlare di zombie media poiché il corpo dello zombie (reso con tutte queste tecniche) e il corpo dei media (la qualità stessa delle loro immagini) sono connessi metaforicamente in una relazione reversibile. A questa sorta di “ontologia” dei media si unisce una “fenomenologia” dei media, “nella quale i piaceri e le paure associati al guasto dei media sono veicolati dallo spettacolo della disintegrazione del corpo dello zombie”» (pp. 78-79).
I mezzi di comunicazione, esattamente come i corpi umani, si corrompono, sono soggetti all’invecchiamento ed alla decadenza. Inoltre, continua lo studioso, i media divengono presto obsoleti (dead media) e la riattivazione di questi, attraverso processi di manipolazione, permette di farli tornare in vita, come accade agli zombie. «In questo modo, gli zombie media mostrano come degli scarti tecnologici (gli stessi scarti che abbiamo visto costituire uno degli aspetti principali della rappresentazione del morto vivente) possano “tornare in vita”, perché “i media non muoiono mai» (p. 80). Anche i più recenti media digitali sono duri a morire; Angela M. Cirucci (The Social Dead: How Our Zombie Baggage Threatens to Drag Us into the Crypts of Our Past) a tal proposito ricorda come i dati pubblicati sui social network, anche quando si pensa di averli definitivamente cancellati, possano “ricomparire” in contenti imprevisti.
dead-set-poster-09La metafora dello zombie è utilizzata dai media anche per rappresentare il mondo del lavoro dei mezzi di comunicazione. Al fine di indagare tale ambito, lo studioso prende in esame la serie televisiva Dead Set (2008) ideata da Charlie Brooker, autore della serie documentaria How TV Ruined Your Life (2001) e della serie Black Mirror (dal 2011). Dead Set narra di un’epidemia zombie che si diffonde sia nel paese che all’interno del cast e dell’equipe che lavora alla realizzazione del reality inglese Big Brother. A partire da tale esempio, Boni «si concentra sulla metafora dello zombie come di un “morto che lavora”, in un’epoca in cui il campo professionale delle grandi imprese mediatiche è sempre più caratterizzato dalla precarietà e dallo sfruttamento. Le “videopolitiche” diventano qui davvero delle “necropolitiche” lavorative, dove la flessibilità, la mobilità e il rischio costituiscono i fattori centrali che presiedono alle pratiche professionali di chi lavora all’interno degli apparati dei media, e delle stesse celebrità – effimere, undead – che vengono prodotte» (p. 10). Nella serie di Brooker tutti sono rappresentati come zombie: i partecipanti al reality, i produttori ed il pubblico sono ormai privi di qualsiasi funzione celebrale. Gli esseri umani sono soltanto propensi al consumo di immagini, carne umana, celebrità a loro volta zombificate.
David McNally (Monsters of the Market. Zombies, Vampires and Global Capitalism) sostiene che nel presentare gli zombie come consumatori compulsivi, molte produzioni recenti hanno finito per celare il mondo della produzione, dello sfruttamento del lavoro e delle diseguaglianze di classe che rendono possibile tale consumo. Dunque, secondo lo studioso, molti film sugli zombie contemporanei si limitano a criticare il consumismo senza mai affrontare di petto il capitalismo a partire dai processi lavorativi che zombificano i lavoratori. La serie Dead Set può essere vista come rimedio a tale limite, visto che oltre al processo di zombificazione dei consumatori dei media, affronta anche quello dei lavoratori dei media.
A ben guardare gli stessi spettatori sono messi al lavoro (labouring audience) e contribuiscono alla produzione dei media. Lo studioso Dallas Smythe (On the Audience Commodity and Its Work) sostiene che il pubblico si sta trasformando in un bene di consumo venduto dai media agli inserzionisti pubblicitari; la tv produrrebbe telespettatori per poi venderli agli sponsor. «Nel capitalismo contemporaneo il pubblico costituisce così la “forma-merce” dei prodotti della comunicazione […] una “merce” molto particolare, che produce da sé il proprio valore: e questa è appunto la teoria della labouring audience, secondo cui il pubblico elabora attraverso i messaggi pubblicitari (ma non solo) la propria ideologia consumistica. La nostra “storia” di consumatori, cioè di pubblico dei messaggi pubblicitari, è molto lunga […] e questo fa di noi non solo un pubblico competente in ordine ai consumi, ma dei veri e propri “stacanovisti” del consumo, una merce che lavora incessantemente per valorizzare sempre più il proprio ruolo – il proprio pregio – di ascoltatori, spettatori o lettori. Con le proprie ricerche sul pubblico, i media non cercherebbero quindi di ottenere prodotti migliori per il pubblico stesso, ma punterebbero a sfruttare quest’ultimo con una vera e propria forma di lavoro» (p. 87).
Visto che le ricerche di Smythe risalgono alla fine degli anni Settanta, alcuni studiosi hanno pensato di aggiornarle facendo riferimento al panorama dei social media contemporanei, ove gli utenti sono divenuti anche produttori di contenuti. «A completare la metafora dello zombie come lavoratore alienato asservito agli interessi e allo sfruttamento dell’industria dei media, abbiamo l’analogo concetto di free labour, dove i riferimenti alla zombificazione sono piuttosto espliciti: gli utenti di Internet sono definiti “NetSlaves” (schiavi della rete) – un riferimento piuttosto sinistro alle origini culturali dello zombie –, e la loro attività costituisce uno “sweatshop elettronico”, in funzione 24 ore al giorno e sette giorni su sette. Altro che consumattori: laddove alcuni amano vedere in queste nuove figure un’élite culturale, altri vi vedono semplicemente un’inedita forma di lavoro proletarizzato, un nuovo, “terrificante mostro”. Il free consumer è uno spettro, un non-morto sfruttato e sottoposto a una nuova forma di governamentalità. E – ciò che è peggio – si tratta di una schiavitù di cui non si è nemmeno consapevoli, dal momento che viene associata a una piacevole attività, spesso svolta tra le pareti domestiche» (pp. 89-90).
In Dead Set, come si diceva, anche i lavoratori intenti alla realizzazione del reality divengono zombie; si tratta di lavoratori in balia di quella flessibilità e precarietà caratteristiche del lavoro e della vita contemporanea che il sistema produttivo degli audiovisivi ha da tempo introdotto. Una ricerca di inizio anni Duemila di Gillian Ursell (Working in the Media), ha messo in luce «come le imprese mediali abbiano di fatto trasferito la maggior parte dei rischi, dei costi e dei compiti di management ai lavoratori stessi, ma si trovino allo stesso tempo minacciate da nuove imprese produttive che impiegano lavoro flessibile sulla base di singoli progetti, magari offrendo migliori condizioni» (p. 93). Dunque, i lavoratori dei media risultano sempre più «sottopagati e sottoposti a un regime di auto-imprenditorialità all’insegna dell’“ognuno per sé”, che indebolisce peraltro i legami tra colleghi» (p. 93).
I lavoratori dei media, del tutto in linea con le politiche neoliberiste, si presentano come una moltitudine di lavoratori ridotti al precariato lavorativo ed esistenziale, obbligati all’auto-sfruttamento, all’auto-commercializzazione, all’auto-formazione, al “presentismo produttivo” anche quando non sono fisicamente sul posto di lavoro (ormai estesosi a dismisura nel tempo e nello spazio), all’identificazione con l’azienda che, masochisticamente, porta ad amare l’essere sfruttati.. «Come gli zombie, i freelance dell’industria dei media sono orde, masse di lavoratori assolutamente sostituibili; come gli zombie, gli stagisti che lavorano nella produzione della reality tv sono stretti in una morsa da parte della stessa reality tv, che li sfrutta succhiando loro le competenze professionali e le energie lavorative» (p. 95). Gli stessi partecipanti ai reality non solo si trovano ad essere le più effimere tra le celebrità, dalla durata sempre più limitata, ma hanno anche rinunciato contrattualmente ad avere vita ed identità proprie. Inoltre costoro incarnano un tipo di celebrità disprezzata dal pubblico borghese che assiste alle loro performance con sufficienza, come di fronte ad un freak show. Sono personaggi visti come reietti, scarti umani… morti viventi.
La metafora dello zombie viene sempre più spesso applicata anche ai personaggi politici messi in scena dai media. A tal proposito Boni si focalizza sulla rappresentazione mediatica del corpo di Silvio Berlusconi. Secondo lo studioso «possiamo vedere come di fatto il campo discorsivo mediatico dello zombie rispetto alla figura politica di Berlusconi si declini nella doppia accezione di body politic e di body politics. La doppia valenza di questa metafora – che restituisce l’immagine di un leader non solo mostruoso carnefice ma anche vittima della zombificazione – la rende particolarmente efficace per restituire diverse caratteristiche di Berlusconi e del “berlusconismo” di questi ultimi vent’anni: il sistematico ritorno alla politica anche (soprattutto) quando dato “politicamente morto”; la “serialità” e la “viralità” della sua immagine caleidoscopica, che contiene e allo stesso tempo contraddice tutte le sue rappresentazioni […]; il “berlusconismo” come commodification e lifestyle politics, “specchio” di un’avvenuta trasformazione socio-culturale dell’Italia degli ultimi decenni; pericoloso e mostruoso cannibale, affamato non solo delle vite dei cittadini ma anche delle carni di donne giovani e procaci; cadavere la cui putrefazione rimanda alla corruzione di un intero sistema politico ed economico; mummia […] che si sottopone a macabre cure per sconfiggere la vecchiaia e la morte; infine, un caricaturale mostro tutto italiano, nel suo farsesco machismo di altri tempi» (pp. 130-131).
Se il leader arcoriano invitava i suoi venditori a considerare il pubblico come una moltitudine di decerebrati guidati solo dal consumo compulsivo di merci ed immagini, il Berlusconi mediatico, mette in guardia Boni, vittima e carnefice al tempo stesso, rischia di uscire di scena “cannibalizzato” dallo stesso popolo-zombie. Si tratta pur sempre di un prodotto dei media e come tale soggetto al consumo.
dead_set222Focalizzandosi sul pubblico si può facilmente notare come, tradizionalmente, questo venga rappresentato come una massa amorfa totalmente acritica. Ciò avviene anche nella serie inglese Dead Set, visto che la metafora dello zombie qua si estende al pubblico che circonda minacciosamente il set ove viene prodotto il Grande Fratello. A tal proposito Boni compara l’attrattiva per il centro commerciale degli zombi de L’alba dei morti viventi di Romero con l’attrattiva per la “Casa” del reality della serie Dead Set: dal consumo dei beni materiali al consumo dei media. Nella serie inglese però le battute tra i personaggi del set circondati dal “pubblico-zombie” denotano la pessima considerazione che il mondo della tv ha dei telespettatori tanto che il “caro vecchio pubblico inglese” viene identificato come un’orda di voraci morti viventi pronti a consumare anche da morti le immagini, i corpi ed i luoghi della televisione.
Secondo Boni le stesse viralità e velocità di trasmissione del contagio, messe in scena da Dead Set, possono essere lette come metafora della facilità con cui si ritiene che i media infettino il pubblico rincretinendolo (zombificandolo, appunto). La questione del “contagio” operato dai media è stata, sin dalle origini, al centro della communication research. Nella cosiddetta “magic bullet theory” i media sono visti come strumenti persuasivi che agiscono direttamente su di una massa totalmente passiva ed inerte. Nella teoria “degli effetti limitati” si sostiene che, tutto sommato, i media si limitano a rafforzare le opinioni che gli individui già hanno. Paul Felix Lazarsfeld, uno dei principali teorici degli effetti limitati, ritiene però sia possibile collegare gli effetti dei media ai tempi di esposizione a cui si sottopone il pubblico; lo studioso affronta l’influenza dei media come si trattasse di un’epidemia tanto da focalizzarsi sull’effetto cumulativo dell’esposizione “contaminante”.
Parallelamente a tali ricerche americane, in Europa si sviluppa la “teoria critica” della Scuola di Francoforte che affronta i media, come l’intera industria culturale, inserendoli all’interno di una più estesa strategia di manipolazione dei cittadini. I Cultural studies anglosassoni, rielaborando la teoria critica francofortese, da un lato limitano la portata manipolatrice dei media e dall’altro affiancano all’analisi del consumo quella della produzione. La Scuola di Birmingham insiste particolarmente sul ruolo attivo degli spettatori.
In epoca più recente alcuni studiosi hanno invece ripreso visioni più apocalittiche; Paul Virilio (Lo schermo e l’oblio), ad esempio, connette lo schermo all’oblio e, ricorda Boni, l’essere un corpo senza memoria è proprio una delle caratteristiche dello zombie. Ad insistere sull’assenza di memoria del pubblico è anche Stefano Tani (Lo schermo, l’Alzheimer, lo zombie. Tre metafore del XXI secolo), studioso che definisce la visione contemporanea un “vedere senza pensiero”. «Il telespettatore è in balia delle immagini che gli vengono somministrate […] “è diventato un utente, cioè qualcuno che crede di usare qualcosa non sapendo di essere usato”. In questa “falsa coscienza”, l’utente televisivo “è un compulsivo consumatore del nulla”. Soprattutto, è un consumatore senza memoria: provvisto al limite di “quella sorta di istinto” che lo fa tornare, da morto – o meglio da non-vivente – al centro commerciale o ai cancelli della “Casa” del Grande Fratello» (pp. 140-141). L’individuo contemporaneo si sottopone anche ad altri schermi oltre a quello televisivo e, sostiene Tani, sul Web esso è privato della propria identità, è uno zombie a cui è stato rubato tutto facendogli credere di poter acquistare.
Boni affronta quel processo che può essere definito di “romanticizzazione dell’audience”, in buona parte costruito sull’idea di “pubblico-attivo” e sulle “capacità critiche del pubblico”. Nel primo caso, sostiene lo studioso, se ci si accontenta del fatto che uno spettatore televisivo “processa ed elabora” ciò che fruisce, allora si è di fronte ad una tautologia; la questione cruciale, come ricorda Roger Silverstone (Televisione e vita quotidiana), non risiede nel fatto che un’audience sia attiva ma piuttosto se quell’attività abbia un senso. Circa i limiti dell’idea di “pubblico-attivo”, diversi studiosi che si rifanno alla cosiddetta “ipotesi dell’agenda setting”, segnalano come se è pur vero che i media non ci dicono che opinione dobbiamo avere, ci impongono però l’argomento, l’agenda, su cui dobbiamo esprimere un’opinione. Secondo tale ipotesi i media sarebbero i principali costruttori di realtà sociale.
Nel caso delle “capacità critiche del pubblico”, «assumere che lo spettatore sia “critico”», secondo diversi studiosi, «non significa per ciò stesso che esso dia una lettura oppositiva del testo mediale fruito, né tanto meno, come vorrebbero alcuni autori, che tale lettura “critica” sia un “atto politico”, in grado di ridefinire codici culturali dominanti in chiave antagonista» (p. 143). Inoltre, secondo alcuni studiosi, focalizzarsi eccessivamente sulla capacità del pubblico di leggere criticamente il contenuto dei media rischia di deresponsabilizzare i media e di far dimenticare il fatto che le pratiche di consumo passivo rappresentano le modalità di fruizione dominanti.
La spettacolarità e la retorica dell’“interattività” contribuiscono a costruire un’immagine falsata del pubblico che in realtà mette in atto spesso un “consumo distratto” dei media. Secondo Landi Raubenheimer (Spectatorship of screen media; land of the zombies?) si può paragonare il consumo automatico di immagini sullo schermo da parte del pubblico, alla “sete di sangue” dei morti viventi che sbranano chi incontrano senza averne necessità. Secondo lo studioso, in molti casi, ci si trova davanti allo schermo senza una necessità specifica e senza consapevolezza.
Volendo insistere sul pubblico-attivo si possono prendere in esame casi in cui il pubblico si è mostrato in grado di appropriarsi dei testi mediatici per farne un uso nuovo e differente. Un caso emblematico a cui fa riferimento il saggio è quello delle zombie walks, quelle sfilate in cui la gente ama travestirsi da morti viventi per mettere in scena l’apocalisse zombie nel cuore delle città, non di rado come forma di protesta, come è accaduto nell’ambito di Occupy Wall Street a New York. «Zombificati dagli orrori del capitalismo e del neoliberismo, i “pubblici-performer” che si impadroniscono delle vie e delle piazze delle città finiscono per mettere in scena in realtà una “de-zombificazione”» (pp. 154-155). Questi morti viventi deambulanti lungo le vie cittadine appaiono come «il perturbante “inconscio” della città, tutto ciò che si cerca di allontanare e che torna per rivendicare quelle stesse strade da cui era stato cacciato» (p. 155).
Molte descrizioni delle zombie walks però, sostiene Boni, tendono a ricordare le retoriche consolatorie diffuse dalle letture “romanticheggianti” dei pubblici di cui si è parlato prima. «Nel loro trarre materiali dall’industria dei media e ri-significarli in senso oppositivo e sovversivo, le sfilate dei morti viventi dovrebbero rappresentare il massimo dell’attività dei pubblici-performer, e tuttavia la loro incapacità di indicare soluzioni alternative a quelle contro cui protestano ci parla di una sostanziale passività, che ricorda da vicino l’eterno presente in cui “vive” – o meglio ancora non-vive – lo zombie. In questo senso, le zombie walks e le zombie parades non sono solo appropriate per il tentativo di movimenti come Occupy di richiamare l’attenzione sull’organizzazione dello spazio urbano nell’epoca del capitalismo neoliberista, ma rappresentano anche un riflesso (forse inintenzionale e inconsapevole?) dell’assenza di una possibile alternativa» (p. 157).

domenica 21 agosto 2016

YOUTUBE INVASA!

Fight of the Living DeadIeri ha esordito il primo episodio di Fight of the Living Dead, reality/zombie show di YouTube Red (versione con abbonamento a pagamento del celebre canale), che oggi è stato messo a disposizione di tutti gli utenti in tutta la sua terrificante – e piuttosto sciocca – interezza.
La webserie raduna 10 famosi youtubers (sì, avete letto bene) gettandole in un ospedale abbandonato invaso da un branco di attori che interpretano la parte di zombie affamati di carne umana in cerca di una cura e di un modo per scappare. Chi sopravviverà? Quale sarà lasciato di loro?
Fight of the Living Dead è una produzione Alpine Labs in collaborazione con Revolver Picture Company. Questa nuova serie è parte di YouTube Red Originals, film e serie web delle più grandi star di YouTube.

ODDIO!FUORI VEDO DEI NANI ZOMBI!


Immaginate una calda serata d’estate. Nel vostro giardino il barbecue è già pronto per le salsicce. I vostri amici più cari stanno arrivando. Come potete accoglierli al meglio? Con un drink fresco? Con delle romantiche lanterne accese? Naaaah! Con i nani zombie da giardino!

Siamo stufi dei dolci nanetti ingenui e coccolosi che vogliono bene a quella svampitella di Biancaneve. Noi i nani li vogliamo in stile The Walking Dead con le barbe insanguinate, le budella di fuori e gli occhi usciti dalle orbite.
E quindi, a sinistra del barbecue mettiamo il simpatico nano che chiede cibo a gran voce. E a destra, invece, quello che mangia con voracità le gustose budella.

domenica 14 agosto 2016

LA NOTTE DI TERRORE DEGLI ZOMBI

Siamo certi che i moltissimi appassionati del genere survival horror si siano chiesti almeno una volta cosa sarebbe accaduto se si fossero trovati a vestire i panni degli zombie e non dei classici sopravvissuti. Zombie Night Terror è un prodotto, creato da NoClip, in grado di ribaltare i ruoli e dare finalmente la possibilità ai videogiocatori di affrontare un'esperienza videoludica il cui scopo è quello di distruggere l'umanità grazie alle orde di morti viventi ai nostri comandi.Andiamo quindi ad analizzare i diversi aspetti legati a questo atipica epopea.Davvero poco da dire sulla trama di gioco. Moltissimi giocatori con qualche annetto sulle spalle potrebbero paragonare Zombie Night Terror a Lemmings, avventura che però verrà scandita dalla possibilità di infettare i vari esseri umani che cercheranno di contrastare le gesta del nostro alter ego virtuale. Lo scopo del gioco sarà quindi quello di eliminare il Dr. Einstein, esperto che sta cercando disperatamente di trovare una cura al virus che sta devastando l'umanità.
Inutile sottolineare quindi la presenza di personaggi completamente fuori di testa e soprattutto dei veri e propri stereotipi delle figure della nostra società. Non vogliamo anticiparvi niente ma diverse caricature vi strapperanno non poche risate.
Il videogiocatore dovrà quindi cercare di infettare quanti più umani possibili e far sopravvivere i propri zombie, obiettivo non proprio semplice dato che sarà necessario superare non solamente gli antagonisti del momento ma anche risolvere diversi puzzle ambientali. Vi troverete quindi al cospetto di trappole e nemici armati, di conseguenza in primis dovrete ragionare su come far partire l'infezione.
Con l'avanzare dei livelli verranno sbloccate diverse abilità da assegnare ai morti viventi. I nostri alleati senza cervello hanno effettivamente bisogno di una guida dato che la loro prerogativa è avanzare a testa bassa e mangiare ogni essere vivente presente nel proprio raggio di azione. Verrà quindi data la possibilità di bloccare l'orda in modo da evitare di farli finire in baratri et similia, oppure sarà possibile farli esplodere e addirittura assegnare mutazioni di ogni genere e molto altro ancora.
Quaranta sono i livelli disponibili, ognuno dei quali è in grado di proporre diversi rompicapi davvero impegnativi. Purtroppo questo non basta a salvare l'avventura dalla ripetitività delle azioni da compiere. Ogni stage possiede infatti un obiettivo bonus, aggiunta interessante ma che presto non sarà in grado di donare alcuna soddisfazione, soprattutto dopo aver sbloccato tutti i potenziamenti presenti nel gioco.
Abbiamo storto il naso a causa della presenza di un sistema di controllo non proprio funzionali. Da un lato risultano effettivamente semplici, ma dall'altro è necessario tenere costantemente d'occhio il bordo dello schermo e, in caso di baratri o trappole, intervenire immediatamente se non si vuole vedere morire diverse unità del proprio plotone. Gli sviluppatori hanno però deciso di inserire tre pulsanti in modo da modificare la velocità di gioco. Sarà quindi possibile mettere in pausa il tutto e predisporre le mosse future, aumentare il ritmo delle azioni in modo da risparmiare tempo e tornare alla velocità normale.
Il comparto tecnico di Zombie Night Terror risulta accattivante grazie soprattutto allo stile pixelloso anni'90 scelto dal team di sviluppo, arricchito dalle tonalità bianco e nero, con qualche sfumatura aggiuntiva, in grado di donare al gioco una verve davvero convincente. Avremmo preferito forse vedere un numero di colori maggiore, ma ammettiamo di essere comunque soddisfatti dall'effetto visivo finale.
Possiamo promuovere anche il comparto sonoro grazie alla presenza di sinfonie macabre al punto giusto e soprattutto in grado di sposarsi perfettamente con lo stile di gioco.Zombie Night Terror è sicuramente un'avventura degna di nota che merita di essere affrontata. Il cambio di fronte è senza dubbio una scelta accattivante, di conseguenza siamo certi che moltissimi fan degli zombie e affini non si lasceranno sfuggire questa piccola chicca targata NoClip. Il gameplay viene purtroppo colpito da un tasso di ripetitività piuttosto elevato e la mancanza di contenuti aggiuntivi degni di nota possono convincere il giocatore ad abbandonare l'avventura prima di averla terminata. Sarebbe bastato, molto probabilmente, un banale editor di livello, in modo da creare nuovi stage e condividere il tutto in rete.

SETTE GIORNI ALLA MORTE


7daytodie_01Dopo 5 anni in versione alpha su Steam e circa 32000 recensioni positive, i ragazzi di Telltale, in qualità di publisher, portano su console l’opera dei The Fun Pimps: 7 Days To Die, un survival open world dove il nostro scopo sarà sopravvivere il più a lungo possibile tramite un sistema di crafting che ricorda molto quanto già visto in Minecraft. Purtroppo la versione console porta con se tantissimi bug, errori, una grafica mediocre, freeze continui e chi più ne ha più ne metta. Di per sè non sarebbe un problema, conoscendo lo stato del gioco, ma sulla console Sony viene venduto sia in digitale che in versione retail come “gioco completo” e per questo ci sentiamo di bocciarlo su tutta la linea, ma vediamo nel dettaglio cosa offre il gioco.Gli zombi non stancano mai e 7 Days To Die ci porta in mondo post-apocalittico dove il nostro scopo sarà sopravvivere contro orde di zombi assetati di sangue, mentre dovremo costruire armi, vestiti, oggetti, attrezzature e un rifugio sicuro. Appena entrati nel menù principale troveremo svariate opzioni a partire da ben sei diversi livelli di difficoltà; potremo poi modificare la quantità di risorse craftabili, la mobilità degli zombi (di base di giorno sono più lenti, mentre di notte più veloci ed aggressivi), la durata del giorno, il tipo di mappa e quant’altro. Una volta settato tutto possiamo entrare in partita e qui, crolla tutto.

Una volta entrati in partita lo spettacolo che ci si presenta davanti è quasi imbarazzante per un gioco uscito nel 2016 su PlayStation 4, lo sottolineiamo ancora una volta; notiamo subito che le mappe sono praticamente vuote, infatti potremo camminare per chilometri senza trovare assolutamente nulla, ad esclusione di qualche costruzione e ovviamente animali e zombi.
Ad ogni partita avviata avremo sempre un piccolo tutorial che ci mostrerà le basi del crafting, portandoci a costruire un’ascia, una mazza, un arco ed i primi vestiti dopodichè spetterà a noi e solo a noi muoverci nel vasto mondo di 7 Days To Die. Dopo il tutorial però, capiamo subito che muoversi nel gioco, costruire, craftare e sopravvivere diventa del tutto inutile, non avremo infatti nessun tipo di quest che ci invoglierà ad avanzare e di conseguenza la noia raggiunge livelli altissimi nel giro di pochissimo tempo, inoltre, a condire il tutto, ci sono dei freeze continui dell’immagine circa ogni 10 secondi, che rendono l’esperienza di gioco davvero frustrante e fastidiosa.
Inoltre l’interfaccia utente e il menù di gioco non sono minimamente stati adattati ad un pad. Aprendo il menù dovremo muoverci grazie all’analogico sinistro che fa da mouse e rende ancora più palese la non ottimizzazione console che grava sul titolo in maniera irrimediabile.
Fortunatamente (o sfortunatamente) abbiamo anche tre modalità multiplayer, modalità che dovrebbero essere il cuore del gioco.
Si parte con un multiplayer in locale per due giocatori, dove potete gustare tutti gli errori – o orrori – di gioco in compagnia di un amico (chee probabilmente a fine partita non sarà più vostro amico, dunque scegliete bene). Attenti, soprattutto, a non morire, altrimenti il respawn vi farà apparire in un punto casuale della mappa, separandovi così definitivamente prima della fine della sessione di gioco.
Abbiamo poi due modalità online, “Creativa” e “PvP”. La modalità creativa prevede di entrare su una mappa casuale e iniziare a creare con altre persone online, c’è da dire però che lo spawn sulle mappe è totalmente casuale e quindi potrebbero volerci ore prima di trovare qualcuno.
Purtroppo dopo svariati tentativi abbiamo desistito dal verificare se la nostra fosse stata solo sfortuna (non crediamo), dato che i server ci buttavano fuori già solo nella ricerca della partita. Siamo però riusciti a provare la modalità competitiva PvP, ma dopo più di un’ora a girovagare per la mappa senza una meta o un obiettivo purtroppo nessuno dei quattro utenti presenti si è fatto vivo (in tutti i sensi).Anche in ambito trofei il gioco diventa lunghissimo e a tratti frustrante. Con i suoi 44 trofei, Platino compreso, 7 Days to Die ci mette di fronte a trofei dove dovremo craftare 5000 oggetti, uccidere 2500 zombi, uccidere 2500 giocatori reali, viaggiare per 1000 kilometri, morire 500 volte e sopravvivere la bellezza di 1250 (circa 21 ore) nella modalità single player. Il male fatto trofeo, praticamente.

domenica 7 agosto 2016

UNA NOTTE DA PAURA LUNGOMARE


Sarà un’invasione di zombie a dare “non vita” al carnevale horror che si terrà giovedì su tutto lungomare Italia a Lido Nazioni e che coinvolgerà anche diverse attività commerciali e stabilimenti balneari della località turistica comacchiese, che appena una settimana fa ha attirato una vera e propria folla per il carnevale estivo. Zombie, spettacolo, magia, illusione e tanta fantasia saranno quindi, dalle 19 di giovedì i protagonisti di “Zombie Walk Summer Night”, ovvero i non morti arrivano in spiaggia, organizzata da New Star Production di Paola Abile (già creatrice della zombie walk inserita ad Halloween Comacchio), per il Nuovo Consorzio Lido delle Nazioni. Uno spettacolo articolato e soprattutto fatto per tutti coloro che per una notte vogliono provare l’emozione o meglio il brivido di essere un non morto. «Un avvenimento unico – hanno detto presidente e vice presidente del Nuovo Consorzio Lido Nazioni, Gianni Nonnato e Sara Vitali – che coinvolge associazioni artistiche, stabilimenti balneari, attività commerciali, ma soprattutto tanta gente».
«Un format – ha detto Paola Abile – che ho portato, con alcune modifiche, vista la location, dalla zombie walk che ho ideato per Halloween a Comacchio. A Lido Nazioni ho trovato la collaborazione di diverse associazioni e il patrocinio dell’amministrazione comunale, della Provincia e della Camera di Commercio». Dallo Chalet del Mare, dove alle 19, l’infezione dei non morti e la speranza di trovare un antidoto per la miss graffiata da uno zombie, ha inizio, fino al piazzale Mexico, dove alle 21.30 inizierà la parata degli zombie, preceduta dagli artisti di accademia creativa con un veliero, musica, fuoco, trampolieri, effetti pirotecnici e molto altro, che si snoderà su tutto il lungomare di Lido delle Nazioni. Tutti possono partecipare alla serata zombie, come spettatori, ma anche come non morti purché in tema estivo, perché l’organizzazione ha messo a disposizione 4 postazioni trucco con 2 make up artisti per ognuna che saranno attive a partire dalle 17. A questo punto non resta altro che aspettare di assistere o partecipare a questa parata di zombie, novità assoluta per Lido delle Nazioni.

FUORI C'E' LA GUERRA


the walking deadA novembre MS Edizioni pubblicherà nel nostro paese, la versione italiana del gioco di miniature realizzato dalla Mantic, ed ispirato al franchise creato da Robert Kirkman.In The Walking Dead – All Out War vivrete in prima persona, la lotta disperata di Rick ed i suoi compagni, per sopravvivere in una Atlanta ormai distrutta ed infestata dai morti viventi. Avrete la possibilità di creare due gruppi di superstiti fornendogli armi, abilità ed oggetti affinché possano dominare la città in un clima apocalittico e minaccioso.

La scatola conterrà tutto ciò di cui avrete bisogno per dare inizio al divertimento (o alla strage, scegliete voi): 6 miniature raffiguranti Rick, Carl, Derek, Patrick, Liam e Sandra; 12 miniature di Zombie; 1 camper; 6 barricate; 4 auto; 9 Segnalini di rifornimento; 1 Sagoma Kill Zone; 1 Misuratore; 1 Indicatore di Minaccia; 1 Segnalino Iniziativa; 10 Segnalini Attivazione; 10 Segnalini Salute; 1 Plancia da gioco in carta; 1 Carta Vagante; 15 Carte Evento; 6 Carte Sopravvissuto; 16 Carte Rifornimento; 8 Carte Equipaggiamento; 2 dadi bianchi; 6 dadi rossi; 1 dado blu; 1 dado azione; 1 dado panico; ed ovviamente il regolamento.
The Walking Dead – All Out War uscirà a novembre, ed è già pre-ordinabile sul sito ufficiale della Magic Store, al prezzo di 49,99 euro. Sarà, inoltre, presente in anteprima al Lucca Comics & Games 2016.