domenica 15 maggio 2016

COME AFFRONTARE UN'EPIDEMIA


Un professore di chimica potrebbe davvero fabbricare droga come Walter White in Breaking Bad? Tra quanto avremo il teletrasporto di Star Trek? Come funziona il clima in Game of Thrones? Si può parlare di scienza anche stando comodamente in poltrona di fronte alla televisione. È questo lo spirito de La scienza delle serie tv, un libro di Andrea Gentile (responsabile di scienza qui su Wired) appena uscito per Codice Edizioni, con le illustrazioni di Marco Goran Romano. E come sarebbe meglio affrontare l’epidemia zombie come quella in The Walking Dead? La risposta nell’estratto che segue.

Può sembrare strano, ma gli zombie hanno fatto breccia nel cuore di medici, fisici, chimici e biologi, che hanno deciso di approfondire lo studio del mondo dei morti viventi da un punto di vista scientifico. Per quale motivo? Semplicemente perché, grazie a queste creature, si possono studiare molti aspetti della vita reale, sui quali si riesce a generare un maggiore interesse del pubblico.
Un esempio su tutti è quello dell’epidemiologia.
L’epidemiologia è la branca della medicina che si occupa di indagare la distribuzione e la frequenza delle malattie in una popolazione: dai tumori al diabete, passando per obesità, Ebola e infarti. Per esempio, tiene sotto controllo la diffusione dei diversi virus, non solo quelli dell’influenza stagionale, ma anche di quei ceppi particolari, come l’influenza suina e aviaria, che preoccupano medici e opinione pubblica. Questa sorveglianza speciale è dovuta appunto al timore che si scateni una nuova pandemia, la diffusione di una malattia infettiva a livello planetario, in un intervallo di tempo molto rapido e con numerosissimi casi. Pensate per esempio al virus dell’immunodeficienza umana (hiv), ormai presente in ogni luogo del pianeta, che nel 2014 ha ucciso – per complicazioni legate al virus – 1,2 milioni di persone.
Ora, immaginate un nuovo, pericoloso e sconosciuto patogeno con una mortalità ancora più alta, magari in grado di diffondersi con una stretta di mano, che all’improvviso spunta in una lontana regione del mondo. E se questo virus o batterio fosse in grado di trasformare rapidamente le persone in morti viventi?
In The Walking Dead non sappiamo di preciso che cosa sia accaduto e come sia nata l’epidemia zombie, ma durante l’ultimo episodio della prima stagione il dottor Edwin Jenner, nel cuore dell’epidemiologia statunitense, il Center for Disease Control and Prevention di Atlanta, avanza alcune ipotesi – prima di far saltare in aria il suo stesso laboratorio. Jenner parla di un agente che invade il cervello, come l’infiammazione delle membrane che proteggono quest’organo chiamata meningite, ma neanche lo scienziato più competente di tutta la serie sa se la causa sia un batterio, un parassita o un virus (sebbene dalla forma tondeggiante contenente materiale gene- tico che si osserva sugli schermi, sembrerebbe proprio trattarsi di un virus). Neppure lo scrittore Robert Kirkman sembra avere le idee chiare a riguardo e, in ogni caso, per ora non ha alcuna intenzione di fare rivelazioni: vuole semplicemente raccontare una storia e, secondo la sua opinione, la causa dell’epidemia è meno interessante delle sue conseguenze. Sappiamo solamente che questo patogeno ha già infettato tutti gli esseri umani, in attesa di prendere il sopravvento con la morte dell’ospite (magari causata dal morso di uno zombie). Probabilmente si tratta di un agente infettivo trasmesso per via aerea o, come alcuni ipotizzano online, diffusosi attraverso acqua o cibo.
Proprio sull’evoluzione e sulle conseguenze di un’infezione zombie si sono concentrati gli scienziati nel mondo reale. Era il 2009 e sulla rivista Infectious Disease Modelling Research Progress usciva un articolo che avrebbe fatto la storia della scienza degli zombie. Un gruppo di matematici canadesi (Philip Munz e Ioan Hudea della Carleton University insieme a Hoe Imad e Robert Smith dell’università di Ottawa) aveva creato per la prima volta una rappresentazione realistica, quello che viene chiamato un modello matematico, che spiegava con i numeri lo sviluppo di un’epidemia di morti viventi.
I ricercatori, sostanzialmente, hanno applicato i concetti dell’epidemiologia agli zombie. Per prima cosa hanno definito i termini generali della questione: una persona sana, morsa da uno zombie, può diventare un morto vivente capace di trasmettere a sua volta la malattia. E ancora che, nel caso in cui una persona sana muoia per cause naturali o meno, questa potrà risvegliarsi come zombie. La stessa cosa, almeno secondo la loro rappresentazione, può accadere a uno zombie abbattuto. Abbiamo quindi di fronte tre grandi categorie: i suscettibili (S, le persone sane), gli zombie (Z, i morti viventi) e i rimossi (R, i resuscitabili). Non ci resta che stilare una serie di leggi matematiche che stabiliscano il passaggio da una categoria all’altra, decidendo per esempio che la probabilità che un individuo S si trasformi in uno Z dipenda dal numero di zombie e sani presenti in quel momento nella popolazione.
Costruite le categorie e le leggi che le governano, abbiamo il nostro modello, chiamato SZR. Si tratta di una cornice teo- rica che riprende un classico delle malattie infettive, il modello Sir, dove al posto degli zombie troviamo gli infetti. È una rappresentazione molto versatile che può essere ulteriormente ampliata, rendendo il modello più dettagliato e complesso. I ricercatori hanno deciso, infatti, di inserire una classe che rappresentasse le persone esposte all’infezione ma non ancora trasformate in zombie (I), con un periodo di latenza di 24 ore.
In base a questo nuovo modello Sizr, i matematici hanno dato le equazioni in pasto a un computer, simulando un’epidemia zombie, ma i loro risultati non sono stati molto confortanti per l’umanità. Senza alcun tipo di intervento, infatti, i numeri parlano chiaro: nel caso di una pandemia, gli zombie conquisterebbero facilmente il pianeta. A questo punto, i ricercatori hanno pensato di studiare anche delle alternative, come la quarantena. Isolando prontamente gli infetti e gli zombie catturati, riusciremmo a salvarci? La risposta è ancora una volta poco incoraggiante, perché mettendo in quarantena una larga percentuale di persone infette all’inizio dell’epidemia riusciremmo a resistere, ma ritardando solo di poco la sconfitta totale. Un’eventualità poco probabile nel caos di un’infezione repentina.
Ci sarebbe solo un modo per far sopravvivere l’umanità: attaccare ripetutamente gli zombie, eliminandone quantità sempre maggiori non appena le risorse lo consentissero. In questo caso, in una decina di giorni, secondo la simulazione dei matematici canadesi, riusciremmo a spazzare via il 100 per cento dei morti viventi. Un risultato che neanche una cura potrebbe garantire: se si potessero trattare gli zombie e riportarli a una condizione umana, senza però ottenere un’immunità (gli individui curati tornerebbero morti viventi a contatto con l’infezione), eviteremmo l’estinzione, ma riusciremmo a sopravvivere solamente in gruppi di piccole dimensioni.
Partendo dal lavoro dei matematici canadesi, molti ricercatori si sono industriati per costruire modelli di epidemie zombie sempre più complesse e interessanti. C’è chi ha provato a ricreare le apocalissi de La notte dei morti viventi di George Romero e L’alba dei morti dementi di Edgar Wright, mentre altri hanno preferito concentrarsi su rappresentazioni più realistiche. Un gruppo di scienziati della Cornell University, per esempio, ha deciso di simulare un’epidemia zombie in tutti gli Stati Uniti, attribuendo ai morti viventi virtuali una caratteristica fondamentale: il movimento. Nel loro recente lavoro, Alexander Alemi e colleghi hanno usato un modello Sizr simile a quello di Munz, inserendo gli zombie all’interno di una mappa degli Stati Uniti comprendente 11 milioni di isolati diversi come sono stati indicati dal censimento del 2010, per un totale di oltre 300 milioni di persone situate in una griglia di 1500 colonne e 900 righe. L’aggiunta del fattore spaziale ha reso la simulazione più precisa, perché così suscettibili e zombie potevano interagire solo qualora si fossero trovati nella stessa casella. I ricercatori hanno calcolato la velocità dei morti viventi basandosi sulle riprese dei più celebri film del genere e hanno stimato che fosse circa pari a 30 centimetri al secondo.
Che cosa succederebbe, quindi, se negli Stati Uniti trecento persone fossero esposte tutte contemporaneamente e in modo casuale a un virus zombie? La maggior parte della popolazione nella realtà simulata dai ricercatori si tramuterebbe in morta vivente nell’arco della prima settimana. Durante la simulazione si è visto infatti che in una prima fase l’epidemia si sviluppa in cerchi uniformi, mentre in una fase successiva si registra una certa disomogeneità dovuta alla diversa densità abitativa. Le coste, densamente popolate, sarebbero le prime a cadere, mentre le zone centrali resisterebbero. Dopo un mese, dicono Alemi e colleghi, gli Stati Uniti sarebbero in ginocchio, ma ci vorrebbe molto tempo prima che la popolazione si estinguesse del tutto. Dopo quattro mesi, infatti, in zone remote del Montana e del Nevada non ci sarebbero ancora morti viventi.E cosa succederebbe invece allo stato della Georgia, teatro delle vicende di The Walking Dead? Secondo la mappa dei fisici statunitensi, lo stato in questione si situa in una zona con una probabilità di sopravvivenza media, un dato coerente con la storia di Rick Grimes e compagni.

Nessun commento:

Posta un commento