sabato 25 gennaio 2014

QUESTIONI MORALI

Le scelte morali sono una delle grandi mode dei videogiochi moderni. Sotto sotto ci sono sempre state (ve lo abbiamo dimostrato la settimana scorsa con Missile Command), ma il loro impiego massiccio fa parte di quella sorta di “rivoluzione” del linguaggio videoludico che si è dipanata più o meno nel corso degli ultimi 8, 10 anni, quando cioè i videogiochi, crescendo di pari passo con i loro fruitori, sono diventati “una cosa seria”.
Questo bisogno di “temi adulti” ha portato a un sostanzialmente incremento di possibilità romantiche all’interno dei giochi, e al moltiplicarsi delle cosiddette “scelte morali”.
Titoli come Mass Effect e Dragon Age, entrambi di Bioware, sono i primi esempi che vengono in mente quando si parla del fenomeno. In entrambi infatti c’è la possibilità di spassarsela con alieni, elfi, nani e quant’altro, ma anche di decidere la sorte di un prigioniero, o perfino di un’intera civiltà, con tutte le ripercussioni del caso
Tuttavia, se nella maggior parte dei giochi scelta morale è sinonimo di un semplice bivio tra una decisione chiaramente buone e una chiaramente cattiva, c’è un titolo che è riuscito a scavare nella psiche dei giocatori con la stessa grazia di un bisturi arrugginiti, costringendoli a scelte dolorose, spesso sgradevoli, in grado di tormentarli per il resto della storia.
Il gioco di cui vi stiamo parlando, non richiede particolari abilità, riflessi o strategie. La grafica non è al top e gli enigmi che si incontrano sono abbastanza semplici. Sostanzialmente è un libro game molto, molto ben recitato, così bene recitato ha vinto moltissimi premi un paio di anni fa, e proprio in questo periodo sta lanciando la sua “seconda stagione”.
Perché parliamo di stagione? Perché è un gioco diviso in capitolo, usciti con cadenza regolare, è un gioco tratto da una serie Tv, anzi da un fumetto, stiamo parlando del gioco di The Walking Dead.
La particolarità di questo gioco sono, appunto, le scelte morali, e dopo molti film sugli zombi, sappiamo bene cosa succede alla morale umana quando la società collassa e puoi salvarti la vita se azzoppi il tipo che scappa con te e lo usi per rallentare i non morti. Ogni decisione nel gioco, anche la più piccola, viene annotata, e utilizzata per guidare le decisioni dei vostri compagni di sventura. In alcuni momenti potrete ponderare le vostre scelte con tutta calma, ma più spesso sarete costretti velocemente a scegliere il male minore, o almeno, quello che ritenete sia il male minore.
È un gioco in grado di fornire interessanti punti di vista sulla società, sui proprio limiti e sull’etica, ed è proprio per questo una scuola norvegese ha deciso di utilizzarlo per insegnare l’etica ai suoi alunni.
In questo modo Tobias Staaby, l’insegnante di storia norvegese e studi religiosi della Nordahl Grieg Upper Secondary School che si è inventato il corso, è riuscito a introdurre in classe l’Utilitarianismo, gli Imperativi Categorici di Kant e l’etica aristotelica tra i suoi alunni, interessandoli in un contrappunto continuo di sessioni di gioco, dibatti e test anonimi in cui viene analizzato ogni bivio morale del gioco.
«Una situazione in cui la civiltà è al collasso permette di far riflettere gli studenti sull’origine della morale» spiega Staaby in un servizio di un’emittente locale, «inoltre, usare un videogioco è una cosa totalmente diversa rispetto alla visione di un film»
«I film non sono interattivi, certo, si possono mettere in pausa per discutere ciò che è appena successo, ma mettere in pausa il gioco, decidere la mossa successiva e ripartire è molto più naturale. Inoltre, il videogioco offre un ecosistema che gli studenti possono esplorare, senza allontanarsi dal programma del corso».
Una soluzione che piaciuta molto anche ai genitori, che non hanno avuto assolutamente niente da ridire sul metodo d’insegnamento poco ortodosso, che si basa su un concetto di educazione che va oltre il ricordare le cose a memoria dopo averle lette su un libro.
Siamo consci del fatto che stiamo solo scalfendo un argomento molto ampio, ma forse è arrivato il momento di cambiare. A ben guardare sono molti i giochi che potrebbero insegnare qualcosa, non solo sulle dinamiche sociali che innescano, ad esempio, in un qualunque gioco in rete, ma anche per calare i soggetti all’interno di un contesto diverso. Siamo sicuri che una lezione di Scienze Politiche sia meglio di una sessione di Papers Please, un gioco che ci mette nei panni di uno zelante agente doganale di un finto paese ex-sovietico, arricchita con un dibattito?
Siamo sicuri, a rischio di passare per utopisti, senza niente togliere ai programmi, e tenendo bene a mente i mille problemi pratici che affliggono le nostre scuole, che non sia arrivato il momento di utilizzare le mille situazioni fornite da videogiochi per stimolare nuove riflessioni all’interno delle scuole?

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