La scena, quando si parla di prodotti votati al
Player versus Player,
è in pieno fermento: ai classici Battlefield e Call of Duty – i nomi
che hanno praticamente dominato la precedente generazione – si sono
affiancati progetti inediti, freschi e capaci di partire davvero col
botto (come per esempio Overwatch). Altri ancora ci hanno provato, non
sono riusciti ad imporsi e hanno virato con alterne fortune verso la
formula free to play. Insomma, tanti contendenti a spartirsi le
attenzioni dei giocatori, in un mercato che ormai praticamente offre
tutto ed il contrario di tutto: forse anche per questo Epic Games,
nell’ormai lontano 2011 – oltre che per prendere le distanze da quello
che allora era il fiore all’occhiello della casa, Gears of War – ha
deciso di provare a giocarsela in un contesto più votato alla cooperazione, dove i giocatori avessero di fronte un nemico comune da combattere lavorando spalla a spalla. Fortnite
prova a dire la sua in questo terreno sicuramente non inedito, ma meno
inflazionato, tentando anche una sorta di scommessa nella scommessa dal
punto di vista della retribuzione: per giocare, ad oggi, è necessario
acquistare quantomeno il Pacchetto Fondatori, ben sapendo che l’idea è
poi rendere il tutto free to play cercando di sostenere il prodotto a
botte di microtransazioni. Un azzardo, che se è vero che da una parte
potrebbe scoraggiare l’acquirente (
perché pagare se so già che poi il titolo diventerà gratuito?)
potenzialmente porta ad alzare i valori produttivi – e la proverbiale
asticella – dal punto di vista dell’offerta. Scopriamo se è andata
davvero così.
Avviato il titolo, saltano subito all’occhio alcuni punti di contatto
dell’ultimo rampollo di casa Epic con la serie spin off di Piante
contro Zombi portata su console e PC da EA, Garden Warfare.
Al di là dell’aspetto visivo sfacciatamente cartoon di entrambi i
prodotti e del minimo comun denominatore fornito dai non morti, anche in
questo caso la trama è presente fondamentalmente per giustificare l’azione di gioco
(in pratica: una Tempesta che teletrasporta zombie ha avvolto tutta la
Terra, la popolazione è stata ridotta del 98% e l’umanità non se la
passa benissimo) ed il piglio è volutamente incapace di prendersi sul serio,
tra trovate al limite dell’assurdo – come il mandare un furgone in ari
a collegandolo a dei palloni areostatici artigianali – e situazioni
caricaturali. Pad alla mano però le cose cambiano fortunatamente quasi
subito: non solo perché come detto l’approccio è più votato al PvE, ma
soprattutto grazie al DNA di Fortnite. Su uno scheletro da sparatutto in
terza persona abbastanza tradizionale, Epic e People can Fly hanno
innestato un esoscheletro assolutamente peculiare, che va a riprendere aspetti dal genere gestionale e dal survival.
Dal crafting al gestionale allo sparatutto in terza persona. Tutto ad orde cicliche
Pur spaziando attraverso diverse tipologie di missioni, il canovaccio una volta sul campo di battaglia è grossomodo sempre questo.
In una prima fase si va alla ricerca – le mappe, da questo punto di
vista, spesso e volenteri abbondano con le dimensioni e di conseguenza
con le risorse, andando a nascondere anche qualche segreto qua e là –
dei materiali di base con cui poi andare a costruire in un secondo
momento le difese. Ben pochi elementi dello scenario infatti non sono distruttibili,
e per quanto la meccanica sia molto semplificata e priva di conseguenze
o quasi, il mondo di Fortnite permette di convertire in risorse
praticamente qualunque cosa. Gli alberi diventano legna, le rocce
permettono di estrarre mattoni e dalle automobili si può ricavare
acciaio, tutti elementi da utilizzare poi per costruire un vero e
proprio fortino attorno all’obiettivo da proteggere. Se infatti le prime
battute sono dominate dall’esplorazione, la fase 2 è quella della costruzione e dello spiegamento dalle forze,
che incarna la componente gestionale del titolo: si possono costruire
muri, pavimenti e soffitti (che poi sono pavimenti ma posizionati “al
contrario”) attorno al target, che oltre a fungere da barriere che i
nemici dovranno giocoforza distruggere o aggirare per arrivare a colpire
permettono di disporre poi delle trappole, ottime per rallentare
l’avanzata degli zombie e infliggere al contempo danno all’esercito di
non morti. Con un po’ di pazienza e le risorse giuste si può edificare
quasi di tutto, visto che i paletti messi dagli sviluppatori sono ben
pochi e nonostante si abbia a disposizione un numero finito di elementi –
oltre ai citati, vanno aggiunte le scale e poco altro, come per esempio
barricate e porte – questi si incastrano sorprendentemente bene. Se poi
si gioca con una buona squadra il gioco è fatto, visto che il lavoro
viene diviso tra quattro elementi.
Alla fase due segue, finalmente, quella più propriamente ludica,
dove gli zombie scendono in campo e prendono di mira il bersaglio che
fino a quel momento è stato fortificato. Qui la parte del leone è
recitata dall’equipaggiamento che si è sbloccato di missione in missione
attraverso le ricompense ottenute ed i progetti (distribuiti
casualmente, in pieno stile free to play, per incentivare il farming dei
punti necessari all’acquisto – quando non direttamente l’acquisto
stesso). Allo stesso modo, anche per i personaggi a disposizione Epic ha
scelto un approccio molto simile, andando a distribuirli con lo stesso
sistema e permettendo di “sbustare” versioni diverse – più rare, o con
bonus differenti – di eroi che magari si ha anche già in scuderia. Si
tratti di armi, eroi o sopravvissuti comunque la morale è sempre quella:
bisogna investire punti esperienza per potenziare il proprio
equipaggiamento ed accedere alle loro abilità più avanzate, mentre in
parallelo si risalgono gli skill tree associati al giocatore stesso che
permettono di utilizzare (e personalizzare) le abilità disponibili a
prescindere dall’eroe che si va ad utilizzare. Slot per schierare
personale di supporto, potenziamenti di scudo, salute e stamina, abilità
di raccolta delle risorse rese più efficaci e via dicendo. Fortnite da
questo punto di vista è ricchissimo di contenuti tanto da risultare quasi dispersivo al primo impatto, ma fortunatamente chi sta dietro lo sviluppo ne ha tenuto conto e ha preparato una serie di missioni introduttive che ne spiegano le caratteristiche. Giocate queste qualche aspetto rimane comunque ancora macchinoso, però sicuramente si fa ordine tra quello che prima era caos in interfaccia
e diventa più chiaro sia cosa fare che come si vuol farlo. Trovata la
quadratura del cerchio che meglio si adatta al proprio stile di gioco
scegliendo le armi da utilizzare in battaglia, l’eroe e le abilità che
si intende utilizzare, l’esperienza di gioco è indubbiamente solida e
riesce ad intrattenere, specie perché come detto la variabilità non
manca. Il problema? È che però poi Fortnite si ferma li.
Il difetto principale? La ripetitività
Ed era naturale, visto la transizione verso il free to play che
attende il titolo nel prossimo futuro. È un approccio che Fortnite non
tenta (giustamente e con molta onestà) di nascondere, ma che d’altra
parte si respira in quasi tutte le meccaniche lontane dal campo di
battaglia. Abbiamo già parlato del sistema di unlock dei contenuti,
pensato a “pacchetti” (in diverse edizioni, e dai diversi costi) da
“sbustare” per poi vedere cosa la sorte ha riservato, ma la conseguenza
più macroscopica – anche questa, a ben vedere, già sfiorata nel corso
della recensione – è la ripetitività del tutto. Alla lunga le missioni tendono ad assomigliarsi, il giocatore accumula più esperienza e inizia a costruirsi delle “routine” di comportamento tipiche
che vanno a massimizzare il risultato dei suoi sforzi, e specie se si
gioca con altri tre giocatori abili è molto difficile che si incappi in
qualche scenario in cui gli zombie mettono davvero in crisi gli eroi.
Inevitabile, visto che per monetizzare un prodotto del genere la
quantità dei contenuti deve essere tale da abbracciare quanti più palati
possibili e il tutto deve essere votato alla rigiocabilità estrema, ma è
un atteggiamento che probabilmente darà i suoi frutti quando appunto le
porte saranno aperte a tutti.Dal punto di vista visivo, come detto Fortnite punta tutto su uno
stile toon e scanzonato, con una paletta cromatica che gioca su colori
vivi salvo poi tingersi di viola nelle fasi in cui i non morti
attaccano. La performance nel complesso è buona e la resa visiva
funziona, nel corso della nostra esperienza c’è capitato di imbatterci
in qualche problema minore fondamentalmente dovuto a qualche occasionale
lag, ma siamo riusciti a terminare tutte le partite che abbiamo cercato
di giocare senza disconnessioni di sorta e senza lamentare cali di
frame rate ingenerosi o problemi del genere (merito forse anche delle
patch rilasciate post-lancio). Promosso quindi il netcode e più in
generale tutta la componente tecnica dietro Fortinite, che contribuisce a
creare un prodotto che come abbiamo visto è solido – anche se soffre un
po’ dal punto di vista della ripetitività