
Questo in soldoni è l’incipit del titolo, che seppur non originale risulta in un certo qual modo interessante, affrontando la repressione da un punto di vista sicuramente singolare. Anche stilisticamente il gioco non brilla per originalità puntando su uno stile fumettoso, confusionario e con la prevalenza dei colori rosso, nero e grigio, rimanendo efficace nel suo piccolo, ma tendendo a stancare dopo poche ore di gioco.
Oltre quindi a una generale mancanza di inventiva, i difetti lampanti e deficitari di I Want To Be Human, purtroppo, non si fermano a questo significativo ma tralasciabile aspetto, e anzi caratterizzano solo l’inizio di una lunga discesa nell’oblio.
Il titolo è un platform a scorrimento laterale dove ci sarà richiesto di inoltrarci in vari livelli e affrontare i nemici e gli ostacoli che ci si pareranno davanti con il solo ausilio del fucile, unica arma a nostra disposizione dall’inizio fino alla fine del gioco. Paradossalmente possiamo notare quanto il gioco sia confusionario già solo dal menù, dove ci sarà permesso di selezionare i livelli a cui vorremmo giocare. Questo si presenta terribilmente pasticciato e poco intuitivo, tanto che arriverete a chiedervi quale effettivamente sia l’ordine preciso dei livelli.
Ed è già dal primo di essi che possiamo constatare tutti gli enormi problemi del titolo, che passano da un level design folle e “poco pensato” fino a un gameplay che non si potrebbe definire in nessun altro modo se non “sbagliato”. Appena avviata la partita, vi renderete già conto del leggero lag dell’input dei comandi con il quale, volenti o nolenti, dovrete imparare a convivere se la vostra intenzione è quella di andare avanti in questa epopea. Come se poi non bastasse, agli sviluppatori è venuta la brillanta idea di utilizzare l’analogico sinistro, già adibito al comando di spostamento del personaggio, anche come sistema di puntamento dell’arma, causando una confusione generale imbarazzante e una serie di morti indegne per saltare e sparare contemporaneamente.
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