Prima di salutare questo 2012.... andiamo al Teatro India di
Roma per concludere il nostro viaggio insieme all’Ishmael del
teatrodelleapparizioni e al “Moby Dick” illustrato da
Rockwell Kent....
Ci stringiamo gli uni con gli altri
sulle panche sistemate in scena: al centro un rettangolo di luce, un uomo e il
suo monologo. Due le forme di narrazione, già utilizzate nelle repliche
precedenti e riadattate ora a Perdutamente (a seguito delle prove aperte
rivolte a bambini tra gli 8 e i 10 anni): la parola e l’immagine.
La
scelta di un testo classico della letteratura contemporanea si traduce in una
messa in scena in gran parte illustrata della meraviglia della storia del
Pequod, della sua rotta e delle anime che hanno traghettato al suo interno –
tutte passeggere e perdute, tranne appunto quella dell’io narrante. Non c’è
infatti nel riadattamento drammaturgico di Fabrizio
Pallara un contrasto o un minimo distacco tra l’immagine
videoproiettata ai piedi dello spettatore e le parole di Dario
Garofalo, tantomeno tra queste e il testo di Hermann
Melville; ma è più un ricalco figurativo, forse un po’ troppo
didascalico, di un eterno conflitto iscritto in un destino, dove per destino
intendiamo anche destinazione. Che è quella della balena per antonomasia, di
Achab, della rimessa in discussione del senso stesso di un viaggio (nostro e
altrui), oltre che di un loro storico corollario illustrativo.
Ad
aspettarci all’uscita della sala troviamo gli zombie di Daniele
Timpano e Elvira Frosini, presenze intermittenti nei
tempi e costanti nei fatti, sostanziate in apparizioni che ci accompagneranno
durante tutta la serata: tre performance di circa mezz'ora ciascuna e una
piccola “invasione” di campo (durante la puntata di "Nollywood" dedicata ad Andrea
Baracco).
Va detto che, nei due giorni della nostra presenza
all’India (comunque pochi per tirare le fila sui fatti e sugli accadimenti di
Perdutamente nel suo complesso, “Zombitudine” ci è parso un accadimento diverso
da tutto il resto, forse anche più amaro.
Invasivo nella direzione e nella
modalità, va da sé per il megafono di Timpano, ma anche per i cartelli-messaggio
appesi al gruppo di attori al suo seguito, o per le loro movenze confondibili in
mezzo al resto delle presenze a teatro, e dunque anche con le nostre. Ma non
solo per questo.
Nello specifico, c’è stato in questa performance e
nelle sue tappe – “Walking Zombi” e “Stanno arrivando” quelle viste, a cui
aggiungere “Scusa, ti posso mangiare?” del duo Frosini-Timpano e
l’installazione-confessionale “Talking Dead” realizzata da Emiliano
Martina – un dialogo serrato con l’esterno. Un dialogo fatto di
sguardi, di piccoli spostamenti e aggiustamenti, di parole opposte o
accompagnate ad altre parole mute, perse tra le decorazioni di un Presepe
vivente di prodotti o servizi comuni o nell’ordine confuso “Marciare non
marcire! Marcire non marciare!”.
È sicuramente il punto di vista che
cambia, la direzionalità del messaggio e il suo procedere non solo verso una
scena condivisa, di presupposti comunque dati per assodati e compresi, ma di uno
spazio ben più ampio.
L’invasione di zombi all’India, morti viventi in
libertà, è la prima tappa della nuova produzione di Kataklisma
“Zombi 2”, ma risulta soprattutto come un’azione del qui e ora, con una
progettualità osservante l’immediato. Se ad ogni azione corrisponde una reazione
e così via, è capitato durante le varie tappe di questa performance di
riflettere su quel “noi”, di sentirsi osservati e chiamati in causa gli uni con
gli altri. Di chiedersi se e in che modo rispondere. E non solo perché le
immagini riflesse sui cartelli o sul fondo delle bottiglie Peroni, o quelle
appese al cellulare, erano ben omologate con il contesto. Estremo straniamento e
divertente non-sense.
Mentre aspettiamo di assistere al successivo
spettacolo all’India ci soccorrono i Fogli di Perdutamente, composti dalle
compagnie durante queste settimane di residenza. Così, tra le facciate di
«Per-du-ta-men-te n*2», captiamo il trafiletto “Nemmeno speculari” di
Roberto Latini, e le sue parole ci faranno da prologo per il sit-in
artistico “Seppur voleste colpire”: «C’era una volta il tempo che eravamo, tutto
il tempo che eravamo stati e quello che saremmo stati. C’era tempo dentro il
tempo e in ogni relazione, c’era il tempo per le idee. Poi, poco a poco, come
quando la riserva diventa condizione, ci siamo ripresentati dentro il nulla
potenziale». Un suggerimento shakespeariano per un confronto di drammaturgie, di
derivazioni e risultati, per un incontro di occasioni e di pance grasse e
posticce.
Dalle panchine a bordo scena o direttamente dalla platea
vediamo affacciarsi alcuni fra gli artisti di Perdutamente (Andrea
Trapani, Lucia Calamaro, Elvira Frosini,
Vincenzo Schino e Marta Bichisao, Veronica
Cruciani), oltre all’ideatore di questa “battaglia per la resistenza
teatrale”.
I frammenti così ricomposti dialogano, interferiscono, cozzano,
fanno pendant ma anche no, all’interno di un contenitore dai contorni slabbrati
e dal centro magmatico. Il fondo nero da cui ciascuno appare e scompare pulsa di
vita, di vita viva coi suoi contrasti e le sue simpatie. Altra rispetto a
identità e a biografie gettate in pasto a sé e agli altri, attaccata com’è
ancora al sé. Un sé tuttavia inaspettatamente e per un tempo collettivo, un atto
unico proprio non solo dell’occasione, ma grazie a quest’ultima sicuramente
ancor più visibile e condivisibile.
Ci si soffermi su di un lavoro
potenziale - come le due letture di Lucia Calamaro sul laboratorio India e
sull’arte di prendere appunti, o profondamente elaborato come l’estratto di
“Digerseltz” della Frosini - o ancora completamente da elaborare, come la
lettura di “Una specie di solitudine” di John Cheever, e si
provi ad aggiungervi la visione e successiva rilettura di un cortometraggio
della Walt Disney di Opera, o ancora il monologo sulla
semplicità perfetta e irrecuperabile dell’esecuzione delle Variazioni Goldberg
di Glenn Gould. Infine l’intenso monologo di Roberto Latini, “If you could
hurt…”.
Provate a colpire il vento, o a lasciatevi afferrare dai suoi
tentacoli incidentali o distratti, appena abbozzati o definitivamente
perduti.
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