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sabato 19 agosto 2017
CERCO DI ESSERE UMANO
La nuova generazione videoludica ha portato con sé lo sbarco degli indie sulle console, aprendosi quindi a un’area tutta nuova del mondo dei videogiochi, che è croce e delizia del settore (un’intro del genere l’abbiamo adottata per The Bug Butcher, e gli autori degli articoli sono diversi – vai a sapere se vuol dire qualcosa NdD). Gli indie infatti, questo lo sappiamo tutti, possono essere prodotti in cui un’idea geniale può esprimersi con uno sviluppo non estremamente complesso e più modesto rispetto agli altisonanti “Tripla A”, riuscendo anche a entrare nei cuori degli appassionati.D’altro canto un indie senza una buona idea di fondo, che sia di tipo narrativo o prettamente “giocoso”, finisce per affondare nel dimenticatoio grazie alla sua stessa mediocrità. I Want To Be Human è, per l’appunto, uno dei tanti indie che ormai popolano il PlayStation Store alla ricerca di un suo posto preciso, il cui scopo dovrebbe essere emergere. Ma come lo fa? Scopriamolo insieme.Il plot di I Want To Be Human si presenta, già dal primo avvio, completamente pazzo e sgangherato. Dalla presentazione dei protagonisti possiamo renderci conto della natura “non-sense” del titolo, che ci mette davanti la storia d’amore proibita fra un vampiro e uno zombie in un mondo asettico, in cui la malvagia “Smile Tech” vieta l’amore e rapisce chiunque venga colto in flagrante. I nostri protagonisti verranno infatti catturati e imprigionati, salvo poi liberarsi e cercare di fuggire con il solo ausilio di un fucile. Se pensate che questo non sia abbastanza insensato, sappiate solo che lei verrà trasformata in uno zombie, e lui in un incrocio fra un cappello e un pipistrello.
Questo in soldoni è l’incipit del titolo, che seppur non originale risulta in un certo qual modo interessante, affrontando la repressione da un punto di vista sicuramente singolare. Anche stilisticamente il gioco non brilla per originalità puntando su uno stile fumettoso, confusionario e con la prevalenza dei colori rosso, nero e grigio, rimanendo efficace nel suo piccolo, ma tendendo a stancare dopo poche ore di gioco.
Oltre quindi a una generale mancanza di inventiva, i difetti lampanti e deficitari di I Want To Be Human, purtroppo, non si fermano a questo significativo ma tralasciabile aspetto, e anzi caratterizzano solo l’inizio di una lunga discesa nell’oblio.
Il titolo è un platform a scorrimento laterale dove ci sarà richiesto di inoltrarci in vari livelli e affrontare i nemici e gli ostacoli che ci si pareranno davanti con il solo ausilio del fucile, unica arma a nostra disposizione dall’inizio fino alla fine del gioco. Paradossalmente possiamo notare quanto il gioco sia confusionario già solo dal menù, dove ci sarà permesso di selezionare i livelli a cui vorremmo giocare. Questo si presenta terribilmente pasticciato e poco intuitivo, tanto che arriverete a chiedervi quale effettivamente sia l’ordine preciso dei livelli.
Ed è già dal primo di essi che possiamo constatare tutti gli enormi problemi del titolo, che passano da un level design folle e “poco pensato” fino a un gameplay che non si potrebbe definire in nessun altro modo se non “sbagliato”. Appena avviata la partita, vi renderete già conto del leggero lag dell’input dei comandi con il quale, volenti o nolenti, dovrete imparare a convivere se la vostra intenzione è quella di andare avanti in questa epopea. Come se poi non bastasse, agli sviluppatori è venuta la brillanta idea di utilizzare l’analogico sinistro, già adibito al comando di spostamento del personaggio, anche come sistema di puntamento dell’arma, causando una confusione generale imbarazzante e una serie di morti indegne per saltare e sparare contemporaneamente.
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