Non avete intenzione di schiodarvi dalla sedia ma gradireste una
bella doccia fredda per combattere il caldo torrido?? Il sito Humble
Bundle e il suo Humble Spooky Horror Bundle hanno quello che fa per voi. Per le prossime due settimane, una vasta selezione di titoli dell'orrore per pochi spiccioli.
Il pacchetto base comprende Dead Age, il GDR a turni
- con tanto di permadeath - in cui dovremo armare e gestire le risorse
di un gruppo di sopravvissuti durante la classica apocalisse zombie, DeadOut più l'espansione Keepers of the Dark, la risposta indie al Project Zero di Tecmo, e Lakeview Cabin Collection, che trasporta il giocatore in uno stiloso slasher anni 70-80 con grafica 8-bit.
Superando la quota media di poco meno di 6 euro l'offerta si espande con la Masterpiece Edition di Layers of Fear, il vostro horror psicologico di fiducia alla Amnesia, l'acclamato Alien: Isolation e Five Nights at Freddy's: System Location, il quinto capitolo della celebre saga a base di animatronics e jumpscare di Scott Cawthon.
Ultimo ma non meno importante, con 8,50 euro riceverete Dead by Daylight,
l'horror multiplayer asimmetrico in cui 4 giocatori dovranno
svignarsela da un quinto, che vestirà i panni di uno spietato serial
killer.
Questo è tutto. Potete dare personalmente un'occhiata al bundle consultando questo indirizzo.
Il mondo dei vivi è stato dominato dai "ritornanti".Questo spazio web opererà ogni ora affinche i sopravissuti verrano informati sugli svolgimenti della situazione apocalittica e dei punti sicuri(se esisteranno ancora...)
domenica 27 agosto 2017
A CASA LORO
E’ questa la storia di Go home- A casa loro, un horror allegorico scritto da Emiliano Rubbi che
vuole utilizzare gli zombie come metafora per una società sempre più
chiusa, spaventata, aggressiva nei confronti dei migranti, dei profughi,
del “diverso da sé” in generale.
Il film, unico nel suo genere, sarà realizzato in “multilingua”. Ad esso prenderanno parte anche diversi attori africani (professionisti e non) attualmente richiedenti asilo, ospiti in diverse strutture della capitale e che attualmente partecipano al laboratorio di videomaking e recitazione Il Ponte sullo schermo, tenuto dalla stessa regista Luna Gualano.
Moltissimi artisti, associazioni e case di produzione hanno sposato il progetto del film Go Home – A casa loro. Zerocalcare ha disegnato la locandina del film, Il Muro del Canto, i Train to Roots, Daniele Coccia e Piotta parteciperanno con la loro musica. Baburka Production si occuperà delle scenografie, dei costumi e degli effetti speciali. Yomigro assiste in tutte le fasi al laboratorio con i migranti presso lo Strike spa. Il centro sociale Intifada e lo Strike spa metteranno a disposizione i propri spazi come location. La Zona e Cocoon Production si occuperanno del coordinamento dell’intero progetto e della post-produzione. Inoltre, un folto numero di professionisti del settore, associazioni e micro-finanziatori stanno già partecipando con il loro sostegno assieme ai nomi già citati e la lista dei partecipanti è lunghissima ed in crescita costante.
In un mondo dove tutto è regolato dalla logica del profitto, siamo convinti che sia possibile creare un film destinato alla distribuzione “tradizionale” che parta comunque da un’intenzione e da una volontà radicata nel sociale.
Siamo convinti che le due realtà non debbano escludersi a vicenda ma che, anzi, debbano imparare a convivere, nell’ottica di una crescita del settore che sia insieme solidale e sostenibile.
Il film, unico nel suo genere, sarà realizzato in “multilingua”. Ad esso prenderanno parte anche diversi attori africani (professionisti e non) attualmente richiedenti asilo, ospiti in diverse strutture della capitale e che attualmente partecipano al laboratorio di videomaking e recitazione Il Ponte sullo schermo, tenuto dalla stessa regista Luna Gualano.
Moltissimi artisti, associazioni e case di produzione hanno sposato il progetto del film Go Home – A casa loro. Zerocalcare ha disegnato la locandina del film, Il Muro del Canto, i Train to Roots, Daniele Coccia e Piotta parteciperanno con la loro musica. Baburka Production si occuperà delle scenografie, dei costumi e degli effetti speciali. Yomigro assiste in tutte le fasi al laboratorio con i migranti presso lo Strike spa. Il centro sociale Intifada e lo Strike spa metteranno a disposizione i propri spazi come location. La Zona e Cocoon Production si occuperanno del coordinamento dell’intero progetto e della post-produzione. Inoltre, un folto numero di professionisti del settore, associazioni e micro-finanziatori stanno già partecipando con il loro sostegno assieme ai nomi già citati e la lista dei partecipanti è lunghissima ed in crescita costante.
In un mondo dove tutto è regolato dalla logica del profitto, siamo convinti che sia possibile creare un film destinato alla distribuzione “tradizionale” che parta comunque da un’intenzione e da una volontà radicata nel sociale.
Siamo convinti che le due realtà non debbano escludersi a vicenda ma che, anzi, debbano imparare a convivere, nell’ottica di una crescita del settore che sia insieme solidale e sostenibile.
LA RAGAZZA CHE SAPEVA TROPPO SUGLI ZOMBI
Ho scelto questo caso perché è particolare: la sceneggiatura del film e il romanzo sono stati scritti in contemporanea.
L'idea infatti viene da un racconto breve originale, che lo scrittore Mike Carey (con lo pseudonimo di M.R. Carey) aveva pubblicato in una raccolta curata da Charlaine Harris.
Un racconto in cui la razza umana lottava per la sopravvivenza in un mondo dominato da persone trasformate in feroci mangiauomini da un'infezione fungina.
In una base militare, la dottoressa Caldwell porta avanti un progetto di ricerca su un gruppo di bambini per cercare una cura. Miss Justineau insegna loro le materie scolastiche, mentre il sergente Parks si occupa della sicurezza: i bambini, infatti, non sono come tutti gli altri esseri umani...
La penna è sempre la stessa ma ci sono importanti cambiamenti fra romanzo e film. L’aspetto di Melanie, la bambina protagonista, per cominciare. Non il suo atteggiamento, però. Né la sua vita.
La ragazza che sapeva troppo (traduzione piuttosto infelice dell’originale The Girl With All The Gifts), rompe gli schemi classici della letteratura zombie per concentrarsi su un aspetto spesso trascurato dalle altre opere a tema: l’umanità alla base degli zombie.
I "mostri" che minacciano di far estinguere la razza umana non sono altro che creature generate da noi, dalle persone. E noi, le persone, saremo mai capaci di evolverci fino a evitare di trasformarci in mostri? La risposta è scontata: no, se siamo noi stessi i primi a comportarci da mostri quando siamo ancora umani.
Il vero scopo del romanzo è raccontare quanto sappiamo essere mostruosi. Quanto avremmo bisogno di evolverci. Quanto sbagliamo nell’affrontare qualcosa di nuovo, inaspettato e difficile - se non impossibile - da comprendere.
Per questo consiglio la lettura del romanzo. E sempre per questo consiglio di vedere anche il film (in seguito, però). Perché quando trovi Glenn Close nei panni della dottoressa Caldwell, sai già che il film varrà il disturbo.
Sebbene le differenze fra film e romanzo siano sostanziali, principalmente perché il film ha bisogno di spiegare al pubblico gran parte di ciò che nel romanzo non viene spiegato.
Nel libro, la dottoressa Caldwell e Miss Justineau sono due versioni esattamente speculari di come possiamo essere.
Sono l’espressione dell’eterno conflitto fra scienza e fede, ma anche di quello fra il Bene e Il Male… Che si racconta di fare del male solamente a fin di bene. Il dilemma morale impera su tutto il resto, che fa parte di un corollario prevedibile: gli errori e l’ottusità delle autorità, la scoperta di qualcosa di nuovo e diverso, la crudeltà e la provocazione, la consapevolezza che cambia solo con il passare del tempo, quando le esperienze si diversificano, mentre di tempo non ce n'è.
E poi, la grande sorpresa: i "mostri" sono indistinguibili da noi. Almeno quelli della seconda generazione.
Mettete da parte, per un momento, l'opera di George Romero: qui siamo di fronte a qualcosa di molto diverso.
La trovata del gel che maschera l’odore della carne umana è geniale perché permette la convivenza fra uomini e hungrie ("famelici" in italiano, ma solo nel film: nel romanzo, grazie al cielo, restano hungrie) e perché basta uno sputo - ma davvero - a cancellarne l’effetto. Si tratta di una metafora piuttosto evidente: basta spalmarsi un gel addosso per cessare di essere umano. Basta un attimo.
Mettendo a confronto la trama di film e romanzo, senza raccontarvi troppo in caso vogliate leggere il romanzo (prima) e vedere il film (dopo), la conclusione è inevitabile: l’aspetto centrale di questa storia è infinitamente più marcato nel romanzo. Ma il film ha i suoi pregi, a cominciare da una giovanissima interprete che stupisce per la maturità con cui affronta un ruolo difficile.
Ci sono due ragioni per cui, di solito, “il libro è meglio del film”: prima di tutto perché, leggendo, giriamo un film nella nostra testa, che non corrisponderà mai a quello “visto” dal regista leggendo la sceneggiatura, quindi troveremmo delle discrepanze anche in caso di trama molto fedele. E poi perché le tecniche di adattamento prevedono, tra gli altri, tagli, spostamento e condensazioni che trasformano inevitabilmente il tutto.
Senza dimenticare il fattore tempo: in meno di due ore, devo essere in grado di raccontare allo spettatore ciò che gli raccontano oltre 400 pagine di un romanzo. Al tempo stesso, quelle due ore devono essere sufficienti a immergerlo nell'atmosfera della narrazione e a spiegargli tutte le regole del mondo straordinario in cui viene immerso.
Di conseguenza, se il finale del romanzo è l’unico possibile - ed è perfetto sotto ogni punto di vista - quello del film lo imita senza però catturarne la sorpresa, il profondo significato, il senso ultimo delle azioni di Melanie.
Ci sono delle ragioni pratiche, di drammatizzazione, che hanno fatto fare ad autore e regista questa scelta.
Ciononostante, il film funziona. Il messaggio arriva ugualmente. Gli umani infetti - tecnicamente non si tratta di zombie veri e propri, ma lo stile è quello: mostri che si trasformano in qualcosa di sconosciuto, che sbrana gli altri esseri viventi - sono sufficienti a farlo passare.
Ma se volete scoprire la vera innovazione, il motivo per cui questi infetti sono gli "zombie 2.0" del momento, leggete il romanzo. Troverete un’opera carica di significato. Che, in seguito, non vi rovinerà la visione del film.
L'idea infatti viene da un racconto breve originale, che lo scrittore Mike Carey (con lo pseudonimo di M.R. Carey) aveva pubblicato in una raccolta curata da Charlaine Harris.
Un racconto in cui la razza umana lottava per la sopravvivenza in un mondo dominato da persone trasformate in feroci mangiauomini da un'infezione fungina.
In una base militare, la dottoressa Caldwell porta avanti un progetto di ricerca su un gruppo di bambini per cercare una cura. Miss Justineau insegna loro le materie scolastiche, mentre il sergente Parks si occupa della sicurezza: i bambini, infatti, non sono come tutti gli altri esseri umani...
La penna è sempre la stessa ma ci sono importanti cambiamenti fra romanzo e film. L’aspetto di Melanie, la bambina protagonista, per cominciare. Non il suo atteggiamento, però. Né la sua vita.
La ragazza che sapeva troppo (traduzione piuttosto infelice dell’originale The Girl With All The Gifts), rompe gli schemi classici della letteratura zombie per concentrarsi su un aspetto spesso trascurato dalle altre opere a tema: l’umanità alla base degli zombie.
I "mostri" che minacciano di far estinguere la razza umana non sono altro che creature generate da noi, dalle persone. E noi, le persone, saremo mai capaci di evolverci fino a evitare di trasformarci in mostri? La risposta è scontata: no, se siamo noi stessi i primi a comportarci da mostri quando siamo ancora umani.
Il vero scopo del romanzo è raccontare quanto sappiamo essere mostruosi. Quanto avremmo bisogno di evolverci. Quanto sbagliamo nell’affrontare qualcosa di nuovo, inaspettato e difficile - se non impossibile - da comprendere.
Per questo consiglio la lettura del romanzo. E sempre per questo consiglio di vedere anche il film (in seguito, però). Perché quando trovi Glenn Close nei panni della dottoressa Caldwell, sai già che il film varrà il disturbo.
Sebbene le differenze fra film e romanzo siano sostanziali, principalmente perché il film ha bisogno di spiegare al pubblico gran parte di ciò che nel romanzo non viene spiegato.
Nel libro, la dottoressa Caldwell e Miss Justineau sono due versioni esattamente speculari di come possiamo essere.
Sono l’espressione dell’eterno conflitto fra scienza e fede, ma anche di quello fra il Bene e Il Male… Che si racconta di fare del male solamente a fin di bene. Il dilemma morale impera su tutto il resto, che fa parte di un corollario prevedibile: gli errori e l’ottusità delle autorità, la scoperta di qualcosa di nuovo e diverso, la crudeltà e la provocazione, la consapevolezza che cambia solo con il passare del tempo, quando le esperienze si diversificano, mentre di tempo non ce n'è.
E poi, la grande sorpresa: i "mostri" sono indistinguibili da noi. Almeno quelli della seconda generazione.
Mettete da parte, per un momento, l'opera di George Romero: qui siamo di fronte a qualcosa di molto diverso.
La trovata del gel che maschera l’odore della carne umana è geniale perché permette la convivenza fra uomini e hungrie ("famelici" in italiano, ma solo nel film: nel romanzo, grazie al cielo, restano hungrie) e perché basta uno sputo - ma davvero - a cancellarne l’effetto. Si tratta di una metafora piuttosto evidente: basta spalmarsi un gel addosso per cessare di essere umano. Basta un attimo.
Mettendo a confronto la trama di film e romanzo, senza raccontarvi troppo in caso vogliate leggere il romanzo (prima) e vedere il film (dopo), la conclusione è inevitabile: l’aspetto centrale di questa storia è infinitamente più marcato nel romanzo. Ma il film ha i suoi pregi, a cominciare da una giovanissima interprete che stupisce per la maturità con cui affronta un ruolo difficile.
Ci sono due ragioni per cui, di solito, “il libro è meglio del film”: prima di tutto perché, leggendo, giriamo un film nella nostra testa, che non corrisponderà mai a quello “visto” dal regista leggendo la sceneggiatura, quindi troveremmo delle discrepanze anche in caso di trama molto fedele. E poi perché le tecniche di adattamento prevedono, tra gli altri, tagli, spostamento e condensazioni che trasformano inevitabilmente il tutto.
Senza dimenticare il fattore tempo: in meno di due ore, devo essere in grado di raccontare allo spettatore ciò che gli raccontano oltre 400 pagine di un romanzo. Al tempo stesso, quelle due ore devono essere sufficienti a immergerlo nell'atmosfera della narrazione e a spiegargli tutte le regole del mondo straordinario in cui viene immerso.
Di conseguenza, se il finale del romanzo è l’unico possibile - ed è perfetto sotto ogni punto di vista - quello del film lo imita senza però catturarne la sorpresa, il profondo significato, il senso ultimo delle azioni di Melanie.
Ci sono delle ragioni pratiche, di drammatizzazione, che hanno fatto fare ad autore e regista questa scelta.
Ciononostante, il film funziona. Il messaggio arriva ugualmente. Gli umani infetti - tecnicamente non si tratta di zombie veri e propri, ma lo stile è quello: mostri che si trasformano in qualcosa di sconosciuto, che sbrana gli altri esseri viventi - sono sufficienti a farlo passare.
Ma se volete scoprire la vera innovazione, il motivo per cui questi infetti sono gli "zombie 2.0" del momento, leggete il romanzo. Troverete un’opera carica di significato. Che, in seguito, non vi rovinerà la visione del film.
sabato 19 agosto 2017
CERCO DI ESSERE UMANO
La nuova generazione videoludica ha portato con sé lo sbarco degli indie sulle console, aprendosi quindi a un’area tutta nuova del mondo dei videogiochi, che è croce e delizia del settore (un’intro del genere l’abbiamo adottata per The Bug Butcher, e gli autori degli articoli sono diversi – vai a sapere se vuol dire qualcosa NdD). Gli indie infatti, questo lo sappiamo tutti, possono essere prodotti in cui un’idea geniale può esprimersi con uno sviluppo non estremamente complesso e più modesto rispetto agli altisonanti “Tripla A”, riuscendo anche a entrare nei cuori degli appassionati.D’altro canto un indie senza una buona idea di fondo, che sia di tipo narrativo o prettamente “giocoso”, finisce per affondare nel dimenticatoio grazie alla sua stessa mediocrità. I Want To Be Human è, per l’appunto, uno dei tanti indie che ormai popolano il PlayStation Store alla ricerca di un suo posto preciso, il cui scopo dovrebbe essere emergere. Ma come lo fa? Scopriamolo insieme.Il plot di I Want To Be Human si presenta, già dal primo avvio, completamente pazzo e sgangherato. Dalla presentazione dei protagonisti possiamo renderci conto della natura “non-sense” del titolo, che ci mette davanti la storia d’amore proibita fra un vampiro e uno zombie in un mondo asettico, in cui la malvagia “Smile Tech” vieta l’amore e rapisce chiunque venga colto in flagrante. I nostri protagonisti verranno infatti catturati e imprigionati, salvo poi liberarsi e cercare di fuggire con il solo ausilio di un fucile. Se pensate che questo non sia abbastanza insensato, sappiate solo che lei verrà trasformata in uno zombie, e lui in un incrocio fra un cappello e un pipistrello.
Questo in soldoni è l’incipit del titolo, che seppur non originale risulta in un certo qual modo interessante, affrontando la repressione da un punto di vista sicuramente singolare. Anche stilisticamente il gioco non brilla per originalità puntando su uno stile fumettoso, confusionario e con la prevalenza dei colori rosso, nero e grigio, rimanendo efficace nel suo piccolo, ma tendendo a stancare dopo poche ore di gioco.
Oltre quindi a una generale mancanza di inventiva, i difetti lampanti e deficitari di I Want To Be Human, purtroppo, non si fermano a questo significativo ma tralasciabile aspetto, e anzi caratterizzano solo l’inizio di una lunga discesa nell’oblio.
Il titolo è un platform a scorrimento laterale dove ci sarà richiesto di inoltrarci in vari livelli e affrontare i nemici e gli ostacoli che ci si pareranno davanti con il solo ausilio del fucile, unica arma a nostra disposizione dall’inizio fino alla fine del gioco. Paradossalmente possiamo notare quanto il gioco sia confusionario già solo dal menù, dove ci sarà permesso di selezionare i livelli a cui vorremmo giocare. Questo si presenta terribilmente pasticciato e poco intuitivo, tanto che arriverete a chiedervi quale effettivamente sia l’ordine preciso dei livelli.
Ed è già dal primo di essi che possiamo constatare tutti gli enormi problemi del titolo, che passano da un level design folle e “poco pensato” fino a un gameplay che non si potrebbe definire in nessun altro modo se non “sbagliato”. Appena avviata la partita, vi renderete già conto del leggero lag dell’input dei comandi con il quale, volenti o nolenti, dovrete imparare a convivere se la vostra intenzione è quella di andare avanti in questa epopea. Come se poi non bastasse, agli sviluppatori è venuta la brillanta idea di utilizzare l’analogico sinistro, già adibito al comando di spostamento del personaggio, anche come sistema di puntamento dell’arma, causando una confusione generale imbarazzante e una serie di morti indegne per saltare e sparare contemporaneamente.
TUTTI I MOSTRI A RACCOLTA
Monster Slaughter è un nuovo boardgame in cui i giocatori faranno la parte dei mostri a caccia di teenager che si sono rintanati in una casa abbandonata. Come nei film horror anni ’80.
Saranno presenti quattro famiglie di mostri: zombie, lupi mannari, vampiri e golem (es. Frankenstein) con tre diverse miniature ciascuna.Scopo del gioco è eliminare tutti i teenager prima dell’alba, possibilmente ottenendo quanti più punti possibile.
I giocatori dovranno sfondare le porte, entrare nella casa e lanciarsi sulle vittime. Queste però non saranno completamente indifese, nella casa possono esser presenti trappole ed esplosivi da cui stare alla larga.I mostri però potranno anche rubare le armi presenti in loco per facilitare il loro compito. A completare il tutto ci sono delle illustrazioni in stile cartoon decisamente ispirate.
Monster Slauter è un boardgame per 2-4 giocatori con una durata media delle partite di 45 minuti.
Al momento un prototipo è già stato realizzato. Presto arriverà una campagna Kickstarter per avviare la produzione su vasta scala.
Saranno presenti quattro famiglie di mostri: zombie, lupi mannari, vampiri e golem (es. Frankenstein) con tre diverse miniature ciascuna.Scopo del gioco è eliminare tutti i teenager prima dell’alba, possibilmente ottenendo quanti più punti possibile.
I giocatori dovranno sfondare le porte, entrare nella casa e lanciarsi sulle vittime. Queste però non saranno completamente indifese, nella casa possono esser presenti trappole ed esplosivi da cui stare alla larga.I mostri però potranno anche rubare le armi presenti in loco per facilitare il loro compito. A completare il tutto ci sono delle illustrazioni in stile cartoon decisamente ispirate.
Monster Slauter è un boardgame per 2-4 giocatori con una durata media delle partite di 45 minuti.
Al momento un prototipo è già stato realizzato. Presto arriverà una campagna Kickstarter per avviare la produzione su vasta scala.
sabato 12 agosto 2017
GRANDE SUCCESSO AL CARNEVALE DI MARINA
Il Carnevale di Marina registra ancora un successo con i suoi carrozzoni colorati in giro per la città. Organizzato da Confesercenti Toscana Nord e Centro Commerciale Naturale,
la manifestazione in maschera del litorale pisano ha festeggiato
quest’anno la sua 89° edizione. A sfilare, il 5 agosto, sono stati sette
carri allegorici, di cui cinque creati dal maestro viareggino della
cartapesta Emilio Cinquini, uno nato dalla collaborazione tra Pubblica Assistenza del Litorale Pisano e Magistratura dei Delfini del Gioco del Ponte,
e uno creato dalla TB Dance di Gianluca Cordioli. Quasi mille figuranti
coinvolti, tra cui anche i più piccoli che hanno poi sfilato sul palco
allestito dal Ccn alla fine della seconda serata di festa. Tra le tante attrazioni degni di nota sono stati la “New Generation Street Band”, che ha dimostrato di possedere veri talenti musicali, e i venti figuranti di Guerre Stellari del
gruppo pisano di Star Wars. «Siamo fieri di aver organizzato un
carnevale estivo per la città al quale hanno partecipato davvero tante
famiglie, oltre a numerosi ospiti e turisti – ha affermato Simone Romoli alla
fine della seconda serata di sfilate –. Questo evento è nato nel 1928 e
vogliamo che resti un appuntamento tradizionale di Marina di Pisa». Le
premiazioni. Tra i bambini a conquistare il titolo di migliore costume è
stata la coppia formata da Anita e Luca con gli abiti di Pinocchio e della fata turchina.
Un premio speciale è poi stato assegnato al carro della Palp,
ricostruito dopo un atto vandalico in tempi record. Soli nove giorni di
lavoro da parte del gruppo dei Delfini, squadra del Gioco del Ponte che
rappresenta tutto il litorale nella sfida del Giugno Pisano. Poi i carri
vincitori: al terzo posto un ex aequo tra il carro di Pinocchio e
quello dei figli dei fiori del bagno Impero. L’argento è andato all’associazione L’Alba bagno Big Fish,
con il carro dedicato al mostro che è dentro ognuno di noi, esorcizzato
dai figuranti travestiti da zombi e vampiri. Quindi medaglia d’oro per
il carro allegorico più bello assegnata alla compagine del Ccn di Marina di Pisa con il carro dedicato ad Aladin.
«Quella che si è svolta nell’ultimo sabato di luglio e nel primo sabato di agosto è stata una festa per Marina – commentano gli organizzatori - a conferma di una voglia di divertirsi che può essere diversa e migliore di anno in anno».
«Quella che si è svolta nell’ultimo sabato di luglio e nel primo sabato di agosto è stata una festa per Marina – commentano gli organizzatori - a conferma di una voglia di divertirsi che può essere diversa e migliore di anno in anno».
L'ALLEANZA DELLA MORTE
Presentato a maggio, Dead Alliance è stato protagonista nei giorni scorsi di una open beta che ci ha permesso di testare l'esperienza messa a punto da Illfonic e Psyop Games prima del lancio. Il gioco si pone come uno
sparatutto competitivo ambientato in uno scenario post-apocalittico, in
cui gran parte della popolazione è stata trasformata in zombie da un
misterioso agente patogeno, e vede contrapporsi due squadre formata
ognuna da quattro agenti. La variazione sul tema è però ben precisa: i
non-morti che affollano le mappe fungono da "pedine" nell'ottica di
modalità tradizionali come il deathmatch, il deathmatch a squadre o il
Re della Collina, il che significa che li potremo sfruttare a nostro
vantaggio in vari modi, anche come mera distrazione per impedire al team
avversario di notare che gli stiamo arrivando alle spalle a pistole
spianate.
Testata su PlayStation 4 Pro, l'open beta di Dead Alliance propone nel
menu principale la possibilità di accedere al matchmaking per una
partita veloce oppure di iniziare in solitaria per aggregarsi
eventualmente a scontri in corso. Le modalità disponibili sono per il
momento tre: Re della Collina, Conquista e Difendi e Guerra di
Logoramento, quest'ultima una playlist in cui vengono alternati match di
tipologia differente. La versione finale di Dead Alliance includerà
una maggiore varietà di contenuti, anche in single player, ma questi
test preliminari ci hanno permesso di capire che tipo di prodotto
aspettarci in vista del lancio, fissato al 29 agosto su PC,
PlayStation 4 e Xbox One. Abbiamo riscontrato qualche problema con il
matchmaking e un numero tutt'altro che esorbitante di utenti online, ma
la nostra esperienza con i match online non è mai stata viziata da
particolari problematiche: complice il fatto che ci sono solo otto
giocatori nella mappa, mentre tutti gli zombie vengono controllati
dall'intelligenza artificiale, non è capitato di sperimentare eccessiva
latenza o frequenti disconnessioni. Un sistema di progressione, che
nell'open beta non risulta ancora rifinito, ci accompagna da uno scontro
all'altro, consentendoci di salire di livello e di sbloccare in tal
modo nuovi oggetti ed equipaggiamenti.Le dotazioni di partenza di Dead Alliance si traducono in un approccio
all'azione molto diverso: fatta salva la pistola nello slot secondario,
nel caso dell'equipaggiamento leggero si dispone di una balestra come
arma principale, con quello medio di un fucile d'assalto, mentre con
quello pesante di una grossa mitragliatrice. Cambiano anche le dotazioni
extra, ma in linea di massima il principio è che le munizioni sono
limitate e bisogna dunque sfruttare a proprio vantaggio le risorse
offerte dallo scenario: gli zombie. In che modo? Utilizzando dei gadget
che, rilasciando nell'aria specifici agenti chimici, risvegliano la
furia dei non morti contro i nostri avversari. Possiamo radunare gli
zombie con un'esca sonora, ad esempio, e poi colpire un componente della
squadra nemica con una bomba contenente una sostanza che attira i morti
viventi come gli orsi col miele. Costretti a fuggire a gambe levate
o a difendersi con i pochi proiettili disponibili, i nostri avversari
non potranno tenerci testa e avremo dunque gioco facile nell'eliminarli.
In realtà le modalità presenti nell'open beta avevano come focus il
controllo territoriale, cosa che ha reso più gradevole e sfaccettata la
nostra prova, ma le due mappe incluse nel pacchetto (Presidio e Molo 70)
non ci hanno fatto impazzire per design e struttura, risultando
piuttosto derivative e prive di trovate minimamente originali.Non è la prima volta che proviamo uno sparatutto in cui gli zombie
svolgono un ruolo secondario, vedi ad esempio il comparto online del
pessimo Umbrella Corps;
tuttavia le meccaniche proposte da Dead Alliance per il momento non
hanno fatto scattare in noi la proverbiale scintilla. Il gunplay è
discreto ed è interessante il fatto di trovarsi quasi sempre a corto di
munizioni, con la possibilità di recuperarne qualcuna solo prendendole
dai cadaveri dei nostri nemici, ma l'idea di sfruttare i non-morti
come distrazioni o vere e proprie armi non ci è sembrata produrre
quell'innovazione su cui magari gli sviluppatori contavano per
distinguersi all'interno di un genere che definire "inflazionato" è
poco. Alla lista delle perplessità si aggiunge anche un comparto
tecnico scialbo, che dona agli ambienti un aspetto "sporco" e soffre di
qualche incertezza rispetto al target dei trenta frame al secondo,
francamente pochi considerando ciò che viene mosso sullo schermo:
puntare ai 60 fotogrammi avrebbe dato a Dead Alliance una marcia in più.
Le premesse non sono dunque esaltanti e il prezzo di vendita (ben 39,99
euro, sebbene sia possibile acquistare il solo comparto multiplayer a
24,99 euro) temiamo non favorirà in alcun modo la diffusione di un
titolo di tale fattura. Siamo però già stati smentiti in passato e
dunque la produzione targata Illfonic e Psyop Games potrebbe anche
sorprenderci.
MIGRANTI COME ZOMBIE
In una Roma assediata dai morti viventi l'unico posto sicuro è un centro
d'accoglienza per migranti dove trova rifugio Enrico, un ragazzo di
estrema destra. E' questa la trama di ''Go Home-A casa loro'', film
scritto da Emiliamo Rubbi e girato da Luna Gualano. Sul set, allestito
in diverse location della Capitale, come i centri sociali Intifada e
Strike, ci sono tanti ragazzi provenienti da Nigeria, Ghana, Liberia:
molti sono studenti della regista Gualano che insegna videomaking a
richiedenti asilo per il progetto ''Un ponte sullo schermo''. ''Volevamo
fare un film che potesse arrivare a tutti - spiega la filmmaker - per
questo abbiamo pensato a un horror''. Lontani nel tempo dagli zombie di
Romero (L'alba dei morti viventi, 1968) quelli del terzo millenio sono
''quelli che hanno paura del diverso, dell'altro, divorati dalla rabbia
ceca'', dice Rubbi. Il progetto ha visto la collaborazione di tantissimi
artisti, romani e non: da Zerocalcare, che ha disegnato la locandina
del film, ai musicisti come Piotta e Il muro del canto, che hanno
firmato la colonna sonora.
I NUOVI PROTETTORI
La scena, quando si parla di prodotti votati al Player versus Player,
è in pieno fermento: ai classici Battlefield e Call of Duty – i nomi
che hanno praticamente dominato la precedente generazione – si sono
affiancati progetti inediti, freschi e capaci di partire davvero col
botto (come per esempio Overwatch). Altri ancora ci hanno provato, non
sono riusciti ad imporsi e hanno virato con alterne fortune verso la
formula free to play. Insomma, tanti contendenti a spartirsi le
attenzioni dei giocatori, in un mercato che ormai praticamente offre
tutto ed il contrario di tutto: forse anche per questo Epic Games,
nell’ormai lontano 2011 – oltre che per prendere le distanze da quello
che allora era il fiore all’occhiello della casa, Gears of War – ha
deciso di provare a giocarsela in un contesto più votato alla cooperazione, dove i giocatori avessero di fronte un nemico comune da combattere lavorando spalla a spalla. Fortnite
prova a dire la sua in questo terreno sicuramente non inedito, ma meno
inflazionato, tentando anche una sorta di scommessa nella scommessa dal
punto di vista della retribuzione: per giocare, ad oggi, è necessario
acquistare quantomeno il Pacchetto Fondatori, ben sapendo che l’idea è
poi rendere il tutto free to play cercando di sostenere il prodotto a
botte di microtransazioni. Un azzardo, che se è vero che da una parte
potrebbe scoraggiare l’acquirente (perché pagare se so già che poi il titolo diventerà gratuito?)
potenzialmente porta ad alzare i valori produttivi – e la proverbiale
asticella – dal punto di vista dell’offerta. Scopriamo se è andata
davvero così.
Avviato il titolo, saltano subito all’occhio alcuni punti di contatto dell’ultimo rampollo di casa Epic con la serie spin off di Piante contro Zombi portata su console e PC da EA, Garden Warfare. Al di là dell’aspetto visivo sfacciatamente cartoon di entrambi i prodotti e del minimo comun denominatore fornito dai non morti, anche in questo caso la trama è presente fondamentalmente per giustificare l’azione di gioco (in pratica: una Tempesta che teletrasporta zombie ha avvolto tutta la Terra, la popolazione è stata ridotta del 98% e l’umanità non se la passa benissimo) ed il piglio è volutamente incapace di prendersi sul serio, tra trovate al limite dell’assurdo – come il mandare un furgone in ari a collegandolo a dei palloni areostatici artigianali – e situazioni caricaturali. Pad alla mano però le cose cambiano fortunatamente quasi subito: non solo perché come detto l’approccio è più votato al PvE, ma soprattutto grazie al DNA di Fortnite. Su uno scheletro da sparatutto in terza persona abbastanza tradizionale, Epic e People can Fly hanno innestato un esoscheletro assolutamente peculiare, che va a riprendere aspetti dal genere gestionale e dal survival.
Alla fase due segue, finalmente, quella più propriamente ludica, dove gli zombie scendono in campo e prendono di mira il bersaglio che fino a quel momento è stato fortificato. Qui la parte del leone è recitata dall’equipaggiamento che si è sbloccato di missione in missione attraverso le ricompense ottenute ed i progetti (distribuiti casualmente, in pieno stile free to play, per incentivare il farming dei punti necessari all’acquisto – quando non direttamente l’acquisto stesso). Allo stesso modo, anche per i personaggi a disposizione Epic ha scelto un approccio molto simile, andando a distribuirli con lo stesso sistema e permettendo di “sbustare” versioni diverse – più rare, o con bonus differenti – di eroi che magari si ha anche già in scuderia. Si tratti di armi, eroi o sopravvissuti comunque la morale è sempre quella: bisogna investire punti esperienza per potenziare il proprio equipaggiamento ed accedere alle loro abilità più avanzate, mentre in parallelo si risalgono gli skill tree associati al giocatore stesso che permettono di utilizzare (e personalizzare) le abilità disponibili a prescindere dall’eroe che si va ad utilizzare. Slot per schierare personale di supporto, potenziamenti di scudo, salute e stamina, abilità di raccolta delle risorse rese più efficaci e via dicendo. Fortnite da questo punto di vista è ricchissimo di contenuti tanto da risultare quasi dispersivo al primo impatto, ma fortunatamente chi sta dietro lo sviluppo ne ha tenuto conto e ha preparato una serie di missioni introduttive che ne spiegano le caratteristiche. Giocate queste qualche aspetto rimane comunque ancora macchinoso, però sicuramente si fa ordine tra quello che prima era caos in interfaccia e diventa più chiaro sia cosa fare che come si vuol farlo. Trovata la quadratura del cerchio che meglio si adatta al proprio stile di gioco scegliendo le armi da utilizzare in battaglia, l’eroe e le abilità che si intende utilizzare, l’esperienza di gioco è indubbiamente solida e riesce ad intrattenere, specie perché come detto la variabilità non manca. Il problema? È che però poi Fortnite si ferma li.
Il difetto principale? La ripetitività Ed era naturale, visto la transizione verso il free to play che attende il titolo nel prossimo futuro. È un approccio che Fortnite non tenta (giustamente e con molta onestà) di nascondere, ma che d’altra parte si respira in quasi tutte le meccaniche lontane dal campo di battaglia. Abbiamo già parlato del sistema di unlock dei contenuti, pensato a “pacchetti” (in diverse edizioni, e dai diversi costi) da “sbustare” per poi vedere cosa la sorte ha riservato, ma la conseguenza più macroscopica – anche questa, a ben vedere, già sfiorata nel corso della recensione – è la ripetitività del tutto. Alla lunga le missioni tendono ad assomigliarsi, il giocatore accumula più esperienza e inizia a costruirsi delle “routine” di comportamento tipiche che vanno a massimizzare il risultato dei suoi sforzi, e specie se si gioca con altri tre giocatori abili è molto difficile che si incappi in qualche scenario in cui gli zombie mettono davvero in crisi gli eroi. Inevitabile, visto che per monetizzare un prodotto del genere la quantità dei contenuti deve essere tale da abbracciare quanti più palati possibili e il tutto deve essere votato alla rigiocabilità estrema, ma è un atteggiamento che probabilmente darà i suoi frutti quando appunto le porte saranno aperte a tutti.Dal punto di vista visivo, come detto Fortnite punta tutto su uno stile toon e scanzonato, con una paletta cromatica che gioca su colori vivi salvo poi tingersi di viola nelle fasi in cui i non morti attaccano. La performance nel complesso è buona e la resa visiva funziona, nel corso della nostra esperienza c’è capitato di imbatterci in qualche problema minore fondamentalmente dovuto a qualche occasionale lag, ma siamo riusciti a terminare tutte le partite che abbiamo cercato di giocare senza disconnessioni di sorta e senza lamentare cali di frame rate ingenerosi o problemi del genere (merito forse anche delle patch rilasciate post-lancio). Promosso quindi il netcode e più in generale tutta la componente tecnica dietro Fortinite, che contribuisce a creare un prodotto che come abbiamo visto è solido – anche se soffre un po’ dal punto di vista della ripetitività
Avviato il titolo, saltano subito all’occhio alcuni punti di contatto dell’ultimo rampollo di casa Epic con la serie spin off di Piante contro Zombi portata su console e PC da EA, Garden Warfare. Al di là dell’aspetto visivo sfacciatamente cartoon di entrambi i prodotti e del minimo comun denominatore fornito dai non morti, anche in questo caso la trama è presente fondamentalmente per giustificare l’azione di gioco (in pratica: una Tempesta che teletrasporta zombie ha avvolto tutta la Terra, la popolazione è stata ridotta del 98% e l’umanità non se la passa benissimo) ed il piglio è volutamente incapace di prendersi sul serio, tra trovate al limite dell’assurdo – come il mandare un furgone in ari a collegandolo a dei palloni areostatici artigianali – e situazioni caricaturali. Pad alla mano però le cose cambiano fortunatamente quasi subito: non solo perché come detto l’approccio è più votato al PvE, ma soprattutto grazie al DNA di Fortnite. Su uno scheletro da sparatutto in terza persona abbastanza tradizionale, Epic e People can Fly hanno innestato un esoscheletro assolutamente peculiare, che va a riprendere aspetti dal genere gestionale e dal survival.
Dal crafting al gestionale allo sparatutto in terza persona. Tutto ad orde cicliche
Pur spaziando attraverso diverse tipologie di missioni, il canovaccio una volta sul campo di battaglia è grossomodo sempre questo.
In una prima fase si va alla ricerca – le mappe, da questo punto di
vista, spesso e volenteri abbondano con le dimensioni e di conseguenza
con le risorse, andando a nascondere anche qualche segreto qua e là –
dei materiali di base con cui poi andare a costruire in un secondo
momento le difese. Ben pochi elementi dello scenario infatti non sono distruttibili,
e per quanto la meccanica sia molto semplificata e priva di conseguenze
o quasi, il mondo di Fortnite permette di convertire in risorse
praticamente qualunque cosa. Gli alberi diventano legna, le rocce
permettono di estrarre mattoni e dalle automobili si può ricavare
acciaio, tutti elementi da utilizzare poi per costruire un vero e
proprio fortino attorno all’obiettivo da proteggere. Se infatti le prime
battute sono dominate dall’esplorazione, la fase 2 è quella della costruzione e dello spiegamento dalle forze,
che incarna la componente gestionale del titolo: si possono costruire
muri, pavimenti e soffitti (che poi sono pavimenti ma posizionati “al
contrario”) attorno al target, che oltre a fungere da barriere che i
nemici dovranno giocoforza distruggere o aggirare per arrivare a colpire
permettono di disporre poi delle trappole, ottime per rallentare
l’avanzata degli zombie e infliggere al contempo danno all’esercito di
non morti. Con un po’ di pazienza e le risorse giuste si può edificare
quasi di tutto, visto che i paletti messi dagli sviluppatori sono ben
pochi e nonostante si abbia a disposizione un numero finito di elementi –
oltre ai citati, vanno aggiunte le scale e poco altro, come per esempio
barricate e porte – questi si incastrano sorprendentemente bene. Se poi
si gioca con una buona squadra il gioco è fatto, visto che il lavoro
viene diviso tra quattro elementi.Alla fase due segue, finalmente, quella più propriamente ludica, dove gli zombie scendono in campo e prendono di mira il bersaglio che fino a quel momento è stato fortificato. Qui la parte del leone è recitata dall’equipaggiamento che si è sbloccato di missione in missione attraverso le ricompense ottenute ed i progetti (distribuiti casualmente, in pieno stile free to play, per incentivare il farming dei punti necessari all’acquisto – quando non direttamente l’acquisto stesso). Allo stesso modo, anche per i personaggi a disposizione Epic ha scelto un approccio molto simile, andando a distribuirli con lo stesso sistema e permettendo di “sbustare” versioni diverse – più rare, o con bonus differenti – di eroi che magari si ha anche già in scuderia. Si tratti di armi, eroi o sopravvissuti comunque la morale è sempre quella: bisogna investire punti esperienza per potenziare il proprio equipaggiamento ed accedere alle loro abilità più avanzate, mentre in parallelo si risalgono gli skill tree associati al giocatore stesso che permettono di utilizzare (e personalizzare) le abilità disponibili a prescindere dall’eroe che si va ad utilizzare. Slot per schierare personale di supporto, potenziamenti di scudo, salute e stamina, abilità di raccolta delle risorse rese più efficaci e via dicendo. Fortnite da questo punto di vista è ricchissimo di contenuti tanto da risultare quasi dispersivo al primo impatto, ma fortunatamente chi sta dietro lo sviluppo ne ha tenuto conto e ha preparato una serie di missioni introduttive che ne spiegano le caratteristiche. Giocate queste qualche aspetto rimane comunque ancora macchinoso, però sicuramente si fa ordine tra quello che prima era caos in interfaccia e diventa più chiaro sia cosa fare che come si vuol farlo. Trovata la quadratura del cerchio che meglio si adatta al proprio stile di gioco scegliendo le armi da utilizzare in battaglia, l’eroe e le abilità che si intende utilizzare, l’esperienza di gioco è indubbiamente solida e riesce ad intrattenere, specie perché come detto la variabilità non manca. Il problema? È che però poi Fortnite si ferma li.
Il difetto principale? La ripetitività Ed era naturale, visto la transizione verso il free to play che attende il titolo nel prossimo futuro. È un approccio che Fortnite non tenta (giustamente e con molta onestà) di nascondere, ma che d’altra parte si respira in quasi tutte le meccaniche lontane dal campo di battaglia. Abbiamo già parlato del sistema di unlock dei contenuti, pensato a “pacchetti” (in diverse edizioni, e dai diversi costi) da “sbustare” per poi vedere cosa la sorte ha riservato, ma la conseguenza più macroscopica – anche questa, a ben vedere, già sfiorata nel corso della recensione – è la ripetitività del tutto. Alla lunga le missioni tendono ad assomigliarsi, il giocatore accumula più esperienza e inizia a costruirsi delle “routine” di comportamento tipiche che vanno a massimizzare il risultato dei suoi sforzi, e specie se si gioca con altri tre giocatori abili è molto difficile che si incappi in qualche scenario in cui gli zombie mettono davvero in crisi gli eroi. Inevitabile, visto che per monetizzare un prodotto del genere la quantità dei contenuti deve essere tale da abbracciare quanti più palati possibili e il tutto deve essere votato alla rigiocabilità estrema, ma è un atteggiamento che probabilmente darà i suoi frutti quando appunto le porte saranno aperte a tutti.Dal punto di vista visivo, come detto Fortnite punta tutto su uno stile toon e scanzonato, con una paletta cromatica che gioca su colori vivi salvo poi tingersi di viola nelle fasi in cui i non morti attaccano. La performance nel complesso è buona e la resa visiva funziona, nel corso della nostra esperienza c’è capitato di imbatterci in qualche problema minore fondamentalmente dovuto a qualche occasionale lag, ma siamo riusciti a terminare tutte le partite che abbiamo cercato di giocare senza disconnessioni di sorta e senza lamentare cali di frame rate ingenerosi o problemi del genere (merito forse anche delle patch rilasciate post-lancio). Promosso quindi il netcode e più in generale tutta la componente tecnica dietro Fortinite, che contribuisce a creare un prodotto che come abbiamo visto è solido – anche se soffre un po’ dal punto di vista della ripetitività
domenica 6 agosto 2017
ZOMBI SANGUINARI
Ndreams ha annunciato il prossimo arrivo, fissato per il 12 settembre 2017, di Bloody Zombies, un nuovo action game per PC, PlayStation 4 e Xbox One, con supporto anche per i visori a realtà virtuale.
Il gioco si basa soprattutto sull'azione multiplayer cooperativa e costerà 13,49 euro. Da uno a quattro giocatori si ritrovano dunque a lottare contro zombie assetati di sangue in una Londra post-apocalittica, dove le minacce sono in ogni dove ed è necessario lottare per sopravvivere, secondo i principi del più classico dei brawler. In tutto questo, l'azione cooperativa può essere la chiave per il successo. Da oggi sono peraltro aperti i pre-order.
Il gioco si basa soprattutto sull'azione multiplayer cooperativa e costerà 13,49 euro. Da uno a quattro giocatori si ritrovano dunque a lottare contro zombie assetati di sangue in una Londra post-apocalittica, dove le minacce sono in ogni dove ed è necessario lottare per sopravvivere, secondo i principi del più classico dei brawler. In tutto questo, l'azione cooperativa può essere la chiave per il successo. Da oggi sono peraltro aperti i pre-order.
GLI ULTIMI GIORNI SULLA TERRA
In questo periodo, dove molte persone vanno in vacanza, chi resta in città può osservare una sorta di paesaggio post apocalittico: caldo e nessuna anima viva per le strade. Quasi come nei telefilm di zombie
A tal proposito potrete vivere la vostra avventura post-apocalittica in Last Day On Earth. In questo gioco siete dopo l’anno 2027, quando un virus ha infettato l’80% della popolazione e trasformato molte persone in zombie.
Nel gioco potrete giocare da soli oppure unirvi ad altre persone, come in The Walking Dead. Dovrete andare in giro e scovare oggetti per potenziare il vostro rifugio. Vi serviranno armi e dovrete trovare cibo e acqua altrimenti morirete.
Periodicamente potrete andare nelle spedizioni per uccidere zombie e rendere la vostra zona più sicura, oppure andare dal mercante e scambiare oggetti.
Last Day On Earth pesa 258 MB e si scarica gratuitamente dall’App Store. Funziona su iPhone e iPad. Alcuni potenziamenti si acquistano con il sistema In App.
LA STAGIONE DELLA MORTE
In cerca di brividi estivi in home video? A partire da oggi, 3 agosto 2017, Koch Media lancia l'offerta "La paura fa 9.99", con una serie di titoli horror direct to catalog acquistabili sia negli store online che nei negozi fisici
Ecco tutti gli inediti cinematografici che rientrano nella promozione.
LA PETITE MORT: NASTY TAPES (DVD e BD): Seguite i proprietari della famigerata “Maison de la petite mort” durante il loro efferato lavoro quotidiano… Dopo gli eventi scioccanti della prima parte, non potrete mai immaginare che cosa sia capace di fare il nuovo proprietario, Monsieur Matheo Maxime. Torturare per soldi raggiungerà stavolta la sua massima espressione…PRIMAL SHIFT (DVD e BD): June è una ragazza ingenua e socialmente repressa che decide di partire con il suo nuovo fidanzato, Max, per il loro primo viaggio romantico lungo la costa. Quando un autostoppista finisce per morire nel loro camper, June non può più negare l’emozione travolgente e la sete di sangue.
DEAD SEASON (DVD e BD): Un’infezione virale scoppia in tutto il pianeta provocando la trasformazione degli esseri umani in famelici zombi. Due sopravvissuti abbandonano il caos che sta annientando l’America cercando rifugio su un’isola lontana dove sperano di poter iniziare una nuova vita. Quello che li aspetta in quell’angolo remoto è invece qualcosa di un orrore ancora peggiore…
HAZMAT (DVD e BD): Una società di produzione televisiva indipendente ha un programma chiamato Scare Antics, dove si dà alle persone l’opportunità di sorprendere gli amici con degli scherzi spaventosi. Il direttore del programma, David prepara uno scherzo inserendo una serie di telecamere nascoste all’interno di un edificio abbandonato.
CODE RED (DVD e BD): Durante la Seconda Guerra Mondiale, Stalin creò in gran segreto un gas nervino potentissimo, ma questa arma micidiale andò perduta poco dopo la terribile battaglia di Stalingrado. Più di 60 anni dopo l’arma biochimica ricompare nell’attuale Bulgaria, trasfor- mando la popolazione locale in mutanti che causano ovunque morte e distruzione.
THE BLIND KING (DVD e BD): Craig si è appena trasferito in una nuova casa insieme a sua figlia, cercando di riprendere le redini della sua vita dopo l’improvviso suicidio della sua compagna. Sua figlia, che dall’accaduto ha smesso di parla- re, è tormentata da incubi e da una inquietante figura nera che la chiama a se. L’unico modo per impedire la tragedia sarà cercare l’essere oscuro e affrontarlo nel suo “regno”, i suoi sogni.
SEED 2 (DVD e BD): Al ritorno dal suo addio al nubilato trascorso a Las Vegas, la bella Christine e le sue amiche Olivia, Bar- bara e Claire si trovano in viaggio fra le impervie e bollenti strade del deserto del Nevada. Ma qualcuno le sta osservando: Max Seed è tornato e ha portato con sé l’intera famiglia! Per le ragazze inizierà un in- cubo da cui difficilmente riusciranno a svegliarsi…
THE ZETA VIRUS (DVD e BD): Sei amici universitari si ritrovano in una villetta isolata per spassarsela insieme in un lungo weekend di bevute, risate e altre cose interessanti… ma un attacco terroristico che ha colpito la vicina città rovinerà i loro piani.
LA PAURA DA 9,99
Lionsgate prosegue nel rilascio di titoli in Ultra HD Blu-ray con Dolby Vision. L'ultimo film annunciato con queste caratteristiche è "Warm Bodies",
in uscita il 3 ottobre negli Stati Uniti. Il disco offrirà anche una
traccia audio in Dolby Atmos (lingua originale), unendo quindi tutti i
principali formati sviluppati da Dolby. La confezione conterrà l'usuale
dotazione: un disco Ultra HD Blu-ray, un disco Blu-ray e il codice per
scaricare una copia digitale in HD.
"Warm Bodies" è ricavato da un DI (Digital Intermediate) a risoluzione 2K. Ricordiamo che gli altri film disponibili o in arrivo su Ultra HD Blu-ray con Dolby Vision sono i seguenti:
"Warm Bodies" è ricavato da un DI (Digital Intermediate) a risoluzione 2K. Ricordiamo che gli altri film disponibili o in arrivo su Ultra HD Blu-ray con Dolby Vision sono i seguenti:
- Cattivissimo Me
- Cattivissimo Me 2
- Fast & Furious 8
- Power Rangers
- Quella casa nel bosco
- Red
- Red 2
- Resident Evil: Vendetta
- Starship Troopers: Traitor of Mars
IN RICORDO DI ROMERO
Dal 18 agosto al primo settembre 2017 presso la
Terrazza del MIC –
Museo Interattivo del Cinema Fondazione Cineteca
Italiana presenta la rasswegna Paura in
Terrazza: ricordo di George Romero, omaggio al
compianto maestro dell'horror americano in 6 serate da
brivido.
Milano - Nato a Pittsburgh nel 1940 e morto il 16 luglio scorso a Los Angeles, George Andrew Romero è stato forse il più importante regista horror americano, avendo rivoluzionato il genere tra gli anni Sessanta e Settanta con alcuni capolavori grazie ai quali, tramite il linguaggio della paura e del perturbante, ha gettato le basi per una critica feroce alla società consumista e desensibilizzata dell'America contemporanea. Padre degli zombie-movie, ha saputo reinventare genialmente la figura del non-morto, il quale, guidato da una fame insaziabile e irrazionale, diventa il mezzo di una feroce satira verso l'uomo medio.
Milano - Questo omaggio prevede le proiezioni de La notte dei morti viventi (1968), La città verrà distrutta all’alba (1970), Martin (1978), Zombi (1979), Il giorno degli zombi (1985) e La terra dei morti viventi (2005). Di seguito il programma completo.
Venerdì 18 agosto, 21.30: La notte dei morti viventi (George A. Romero, USA, 1968, 96’; con Duane Jones, Judith O'Dea). La storia segue i personaggi Ben e Barbra Huss, insieme ad altre cinque persone, intrappolate nella casa colonica di un cimitero della Pennsylvania che pullula di morti viventi.
Venerdì 25 agosto, 21.30: La città verrà distrutta all’alba (George A. Romero, USA, 1970, 103’; con Lane Carroll, Lynn Lowry). La trama ruota attorno a una pericolosa arma biologica che accidentalmente viene immessa nell'aria e raggiunge una cittadina degli Stati Uniti d'America.
Martedì 29 agosto, 21.00: Martin (George A. Romero, USA, 1978, 95’; con John Amplas, Lincoln Maazel). Martin è un ragazzo apparentemente normale. Tuttavia, il suo vecchio cugino è convinto che sia la
personificazione del demonio e lo invita presso di sè per salvargli l'anima o distruggerlo per sempre.
Mercoledì 30 agosto, 21.00: Zombi (George A. Romero, USA, 1979, 120’; con Tom Savini, David Emge). Una misteriosa epidemia che resuscita i morti trasformandoli in mostri affamati di carne umana dilaga negli Stati Uniti senza che militari e scienziati possano opporvi rimedio.
Giovedì 31 agosto, 21.00: Il giorno degli zombi (George A. Romero, USA, 1985, 102’; con Lori Cardille, Terry Alexander). I morti viventi dominano da tempo la Terra, mentre i pochi umani superstiti sono costretti a sopravvivere come meglio riescono.
Venerdì 1 settembre, 21.00: La terra dei morti viventi (George A. Romero, USA, 2005, 93’; con Asia Argento, Dennis Hopper). I morti viventi vagano in una terra disabitata, mentre gli esseri umani si sono rifugiati in una città-fortezza per poter continuare a vivere le proprie vite.
Biglietti: intero 5,50 euro; ridotto con Cinetessera 4 euro.
Milano - Nato a Pittsburgh nel 1940 e morto il 16 luglio scorso a Los Angeles, George Andrew Romero è stato forse il più importante regista horror americano, avendo rivoluzionato il genere tra gli anni Sessanta e Settanta con alcuni capolavori grazie ai quali, tramite il linguaggio della paura e del perturbante, ha gettato le basi per una critica feroce alla società consumista e desensibilizzata dell'America contemporanea. Padre degli zombie-movie, ha saputo reinventare genialmente la figura del non-morto, il quale, guidato da una fame insaziabile e irrazionale, diventa il mezzo di una feroce satira verso l'uomo medio.
Milano - Questo omaggio prevede le proiezioni de La notte dei morti viventi (1968), La città verrà distrutta all’alba (1970), Martin (1978), Zombi (1979), Il giorno degli zombi (1985) e La terra dei morti viventi (2005). Di seguito il programma completo.
Venerdì 18 agosto, 21.30: La notte dei morti viventi (George A. Romero, USA, 1968, 96’; con Duane Jones, Judith O'Dea). La storia segue i personaggi Ben e Barbra Huss, insieme ad altre cinque persone, intrappolate nella casa colonica di un cimitero della Pennsylvania che pullula di morti viventi.
Venerdì 25 agosto, 21.30: La città verrà distrutta all’alba (George A. Romero, USA, 1970, 103’; con Lane Carroll, Lynn Lowry). La trama ruota attorno a una pericolosa arma biologica che accidentalmente viene immessa nell'aria e raggiunge una cittadina degli Stati Uniti d'America.
Martedì 29 agosto, 21.00: Martin (George A. Romero, USA, 1978, 95’; con John Amplas, Lincoln Maazel). Martin è un ragazzo apparentemente normale. Tuttavia, il suo vecchio cugino è convinto che sia la
personificazione del demonio e lo invita presso di sè per salvargli l'anima o distruggerlo per sempre.
Mercoledì 30 agosto, 21.00: Zombi (George A. Romero, USA, 1979, 120’; con Tom Savini, David Emge). Una misteriosa epidemia che resuscita i morti trasformandoli in mostri affamati di carne umana dilaga negli Stati Uniti senza che militari e scienziati possano opporvi rimedio.
Giovedì 31 agosto, 21.00: Il giorno degli zombi (George A. Romero, USA, 1985, 102’; con Lori Cardille, Terry Alexander). I morti viventi dominano da tempo la Terra, mentre i pochi umani superstiti sono costretti a sopravvivere come meglio riescono.
Venerdì 1 settembre, 21.00: La terra dei morti viventi (George A. Romero, USA, 2005, 93’; con Asia Argento, Dennis Hopper). I morti viventi vagano in una terra disabitata, mentre gli esseri umani si sono rifugiati in una città-fortezza per poter continuare a vivere le proprie vite.
Biglietti: intero 5,50 euro; ridotto con Cinetessera 4 euro.
Iscriviti a:
Post (Atom)