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domenica 1 maggio 2016
UNO SCHERZO DA ZOMBI
Sul mercato esistono, come è normale che sia, giochi più o meno buoni. Oltre questi, ci sono prodotti come Worst Case Z,
un titolo che sa di essere brutto, e non fa veramente nulla per
nasconderlo. Facciamoci del male, e andiamo a vedere di che si tratta.Sviluppato e pubblicato da BME Digital Studios, e proposto al prezzo incredibilmente fuori luogo di € 19,99, Worst Case Z
è un survival horror in prima persona, in cui il giocatore sarà
chiamato a vestire i panni di un custode di una centrale nucleare. Una
sera, dopo essersi esibito – senza motivo, peraltro – in un numero di
ballo realizzato con animazioni che neanche nei giochi di 15 anni fa, il
nostro si addormenta sfinito. Al suo risveglio, non si sa come, tutto è
andato a rotoli, la centrale ha subito una fusione, e sui muri
dell’edificio sono spuntate misteriosamente, incise col sangue di non si
sa chi, scritte come “Muori”, oppure “Oh Dio” e via dicendo. Il nostro
unico contatto col mondo esterno ci dice via telefono di uscire dalla
centrale, e difatti questa sarà la prima missione che dovremo
affrontare. Il titolo, infatti, è basato su quelle che potremmo
definire delle mini quest composte da obiettivi, a cui peraltro si deve
fare molta attenzione: il gioco si prenderà la briga di dirci cosa fare
una e una volta sola, visto che anche spulciando approfonditamente i
menu non abbiamo capito come (e se) sia possibile richiamare su schermo i
compiti da svolgere. In ogni caso, tanto per far capire di che tipo
di level e character design stiamo parlando, la nostra prima missione
consisteva nel trovare due modi diversi di nascondersi (da cosa, però,
il gioco non ha ritenuto giusto farcelo sapere). Una volta fatto ciò, il
secondo obiettivo era quello di capire come curarsi, anche se non
avevamo ancora subito un solo colpo e non avevamo ancora capito quale
diavolo fosse la minaccia incombente. In ogni caso, l’esperienza di
gioco prevederpiù o meno sempre compiti di questo tipo, che richiedono
un discreto backtracking e anche una certa pazienza, a causa di un
sistema di salvataggio che include checkpoint spesso distanti tra di
loro. Il fattore paura che dovrebbe derivare dall’essere prima rinchiusi
in una centrale, e poi allo scoperto in un mondo appena devastato
dall’apocalisse atomica, cede spesso il posto alla sensazione di
trovarsi davanti a una macchietta; dopo qualche minuto passato nella
centrale, infatti, incroceremo di sfuggita quello che pare essere un
macellaio pazzo, che cederà poi il posto a creature simil-zombie
trasformate dalle radiazioni. Il culmine, per chi avesse la pazienza di
provare il gioco, viene comunque raggiunto dopo pochi minuti:
all’improvviso, non si sa come e perché, il gioco fermerà le nostre
peregrinazioni, facendo partire la sequenza di una testa completamente
pelata che ha in bocca un ragno gigante. Il messaggio che se ne deduce,
applicabile peraltro a tutto il gioco, sembra essere chiaro: “non
chiederti perché hai appena visto quello che hai visto, non chiederti
cos’è, vai avanti, e non pensare neanche che tutto questo abbia un
senso.La cosa brutta di Worst Case Z è che, come detto in
precedenza, si tratta di un gioco che sa di essere brutto, e in qualche
modo se ne vanta. Non sappiamo se sia un modo per puntare ad avere
copertura su Youtube o altri siti del genere, ma in ogni caso la
sensazione è che il gioco in qualche modo riesca a prendere in giro il
giocatore. Vediamo come tutto questo si ripercuote nel gameplay: nel
paragrafo precedente abbiamo dimenticato di dire che le dinamiche di
gioco, nel loro complesso, propongono uno stile piuttosto passivo. In
effetti, spesso non avremo a disposizione armi, e dunque l’unico modo
per sfuggire ai mostri mutanti sarà nascondersi; altre volte, poi, per
andare avanti dovremo raccogliere degli oggetti. Anche qui vale quanto
detto in precedenza: se per caso ci si scorda degli obiettivi da
perseguire, si è praticamente persi, visto che non c’è modo di
richiamarli, non c’è una mappa che li indichi, e in generale non vi è
alcun aiuto tangibile. In ogni caso, il nostro personaggio potrà
compiere azioni classiche come il salto e lo scatto, ma non potrà sempre
piegarsi o accovacciarsi; a questo proposito, il nostro alter ego si
prende la briga di dirci che può “abbassarsi solo in circostanze
straordinarie” (anche qui, capire il perché di tutto ciò va oltre la
nostra portata). Una delle cose che abbiamo veramente fatto fatica a
capire perché sia stata inserita, oltre al level design scarso e ai
pochi momenti di presunta tensione, è stato il raffreddore cronico del
nostro personaggio. Cercando di essere seri il più possibile, uno dei
pochi momenti di tensione, nonché l’unico vero spavento, l’abbiamo
provato mentre, camminando con il nostro alter ego, l’abbiamo sentito
starnutire all’improvviso. Da lì in poi è stato tutto un continuo di
starnuti e singhiozzi, che si sentivano distintamente anche mentre
indossavamo la maschera antigas. Tra tutte le domande irrisolte che
ci ha lasciato questo gioco, questa sembra essere la maggiore: perché
mai si è pensato, pur comprendendo l’apocalisse nucleare e tutto il
resto, di far starnutire e singhiozzare così tanto il personaggio
principale. Per il resto, il sistema di controllo via tastiera
funziona piuttosto bene, almeno fin quando non si chiede al nostro
personaggio di saltare, visto che il balzo che compirà sarà sempre
piccolo, basso e sostanzialmente inutile (per non dire dannoso: subito
dopo la fine di un caricamento abbiamo provato a saltare e
l’inquadratura ha iniziato a fare su e giù, ininterrottamente, fin
quando non abbiamo deciso di camminare).La parte tecnica di Worst Case Z segue placidamente
l’andazzo di gameplay e narrativa: graficamente, il gioco è vecchio di
almeno un paio di generazioni e presenta inoltre problematiche tecniche
di vario tipo, che provvediamo ad elencare brevemente. La prima volta
che abbiamo provato a ridimensionare a icona il gioco, ad esempio,
abbiamo assistito a un crash. Il menu di gioco è, non si sa per quale
motivo, estremamente piccolo e rinchiuso in un riquadrino nell’angolo
alto a sinistra dello schermo. La risoluzione, anche se modificata, non
sempre viene salvata. Senza parlare della povertà grafica generale su
cui, evidentemente, non conviene soffermarsi veramente più di tanto.
Il sonoro, invece, è parzialmente da salvare. Dobbiamo dire che, in
effetti, qualche effetto audio si è rivelato azzeccato, specialmente
negli spazi chiusi. Evidentemente non si tratta di nulla di
trascendentale, ma dobbiamo dire che in alcuni frangenti i rumori
ambientali hanno contribuito a creare una certa tensione, spezzata poi
magari dal solito starnuto. Attenzione, però, parliamo della qualità
degli effetti sonori, non del loro utilizzo: appena messo piede fuori
dalla centrale, ad esempio, abbiamo dovuto sorbirci in loop, per diversi
minuti, il breve spezzone di rumori ambientali comprendenti urla,
sirene di ambulanze e quant’altro.
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