Sono trascorsi 5 anni da quell’ultimo e molto ben accolto “Further”, disco con cui i Chemical Brothers
riconquistavano la scena dopo il più debole “We Are the Night”. Oggi i
due fratelli di Manchester, icone dell’exploit electro anni ‘90 e
dell’annesso immaginario chimico-lisergico, si guadagnano un nuovo
plauso della critica grazie a “Born In The Echoes”. Un album secco,
intelligente, strutturato e variegato, in cui la dance più fresca, il
pop e la migliore culb culture si incontrano, con diversi momenti
intitolati alla sperimentazione, a scanso di ammiccamenti troppo facili.
Suoni taglienti e sintetici, tempi sostenuti, infiltrazioni acid-house e
hip pop, qualche concessione frivola (con un pezzo come Go, a misura di radio e di dancefloor) e diverse cavalcate travolgenti, come per “Sometimes I Feel So Deserted”.Quest’ultima traccia trova adesso un azzeccatissimo videoclip, che a trent’anni dal successo di Thriller rilancia
il topos degli “zombie”. Tutt’altro sound rispetto al singolo cult di
Michael Jackson, ma il video – a tutti gli effetti uno short film, con
una super produzione – non si risparmia in fatto di gusto per l’horror.
Il set è un paesaggio desertico smisurato, in cui una selvatica donna
cyborg – arrivata dall’oltretomba o da chissà quale dimensione parallela
– prova a recuperare energie, porzioni anatomiche e chance di
sopravvivenza. Benzina nelle vene, arti di latta, occhi presi in
prestito da altri mezzi-cadaveri, finché la creatura rinasce come
l’araba fenice. E all’ultimo beat si scaglia sulle inconsapevoli prede:
il seguito è tutto da immaginare.
Roba tosta, in perfetta sintonia con la sequenza di suoni oscuri e
roventi del brano: fughe aliene in mezzo al nulla, ritmi martellanti,
precipizi dark. Con quel tocco assassino che fa la differenza. Tre
minuti di paura e delirio in pista, prima dell’inattesa chiusura
dell’album, la bellissima Wide Open scritta insieme a Beck. Voce, melodia, sciami electro e romanticherie, senza sbavature. Anche i fratelli chimici hanno un cuore
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