“Quella luce negli occhi” (Edizioni Clichy, 2015) è
una storia di zombi senza un goccio di sangue. Un romanzo acutamente
anomalo, al punto da poterlo definire un trattato di tanatologia
costruito sul topos dei revenant. Ci sono due modi di affrontare il
tema: il primo è “di pancia” ed è tipico della narrativa pulp (sangue,
poltiglia e antropofagismo a più non posso); il secondo è cerebrale,
speculativo, travalicante le caratteristiche del genere. Doveroso
rimarcare come “Quella luce negli occhi” inerisca magistralmente alla
seconda categoria. Tenuto conto delle debite differenze, in alcune sue
parti sembra Bergman adattato a una zombie’s story. Bennet Sims
è in grado di trascendere i capisaldi del filone attraverso la sua
rilettura filosofica, edificata su perturbante, vissuti, ricordo,
affettività, sull’esiguo confine che separa la vita dalla morte, le
ragioni del cuore e quelle dell’intelletto. Il libro si spende in sei
capitoli (un capitolo per ogni giorno, da lunedì a sabato), senza
espedienti pretestuosamente gore, tenendo vivo il plot attraverso
dialoghi funzionali e la voce interiore dell’io-narrante. Il libro è
incentrato sugli stati d’animo (più che sulle vicende) dei tre
protagonisti, restituendo, di pari passo, i piani sequenza di una
comunità (di un mondo?) che senza come e perché è stata costretta a
confrontarsi con la resurrezione dei suoi morti.
A Baton-Rouge è esplosa un’epidemia, a seguito della quale i cadaveri
hanno preso a vagolare attorno ai luoghi più significativi della loro
esistenza. Da tre settimane Matt sta cercando suo padre del quale ha
perduto ogni contatto, sostenuto nella ricerca dall’amico Michael e, in
parte, dalla moglie di questi, Rachel. La trama in pillole sarebbe
questa, ma è nel peso specifico del sotto-testo che risiede il nocciolo
significativo del romanzo, sorretto da un taglio descrittivo (sia
interiore che esteriore) che fa riflettere senza annoiare. Quella di
Bennet Sims - qui è al suo esordio nella narrativa - è una scrittura
limpida che, in coda al 2015, ci consegna uno dei romanzi più belli
dell’anno.
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